FAQ

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Disturbi Specifici dell’Apprendimento: la Dislessia

Con il termine Dislessia si intende il Disturbo Specifico della Lettura, che riguarda la decodifica, ed include:

  • difficoltà nell’accuratezza della lettura delle parole
  • la velocità o fluenza della lettura
  • le difficoltà nella comprensione del testo.

In Italia la dislessia colpisce circa il 3% dei bambini in età scolare.

Secondo il DSM 5 (2015) per formulare la diagnosi di dislessia è necessario:

  • Avere un livello di lettura, misurato da test standardizzati, sulla performance, sulla velocità o sulla comprensione della lettura, al di sotto di quanto previsto in base all’età cronologica del soggetto, alla valutazione psicometrica dell’intelligenza e a un’istruzione adeguata rispetto all’età
  • Che il deficit riscontrato interferisca in modo significativo con l’apprendimento scolastico o con le attività quotidiane che richiedono capacità di lettura
  • Se presente un deficit sensoriale, le difficoltà di lettura devono andare al di là di quelle solitamente associate al deficit in questione
  • Differenziare le normali variazioni nelle abilità di lettura dalla dislessia

Quindi, la diagnosi di dislessia avviene quando il soggetto mostra capacità di lettura e scrittura sostanzialmente inferiori

  • per età anagrafica,
  • quoziente intellettivo
  • adeguata scolarità.

Spesso alla dislessia sono associate ulteriori difficoltà, quali la disortografia, la disgrafia e, a volte, lievi difficoltà nel linguaggio orale,

  • fatica nel recuperare termini appropriati
  • nel memorizzare parole nuove
  • nel calcolo soprattutto mentale
  • nella memorizzazione delle tabelline

I primi segnali appaiono durante la seconda o terza elementare:

  • Difficoltà a riconoscere le lettere dell’alfabeto;
  • Incapacità di unire suoni a lettere;
  • Incapacità di riprodurre parole
  • Difficoltà di apprendimento di nuove parole
  • Vocabolario ridotto rispetto ad altri bambini della stessa età

ma segnali precoci compaiono durante la scuola materna attraverso la difficoltà a riprodurre i suoni nelle rime e nelle filastrocche.

Per poter leggere correttamente bisogna acquisire diverse funzioni:

  • Collegare lettere a suoni: i bambini devono imparare che ad ogni lettera dell’alfabeto è associato un certo suono, fonetica. Una volta che il bambino può effettuare questi collegamenti, sarà in grado di riprodurre le parole
  • Decodificare il testo: permette di dare un senso alle parole
  • Riconoscimento visivo delle parole: capacità di leggere una parola familiare a colpo d’occhio senza sillabare
  • Comprensione del testo: consente di ricordare quello che si è appena letto, invece i dislessici interrompono il flusso di informazioni rendendo difficile capire quanto letto per integrarlo alle conoscenze già apprese

Indubbiamente, nel dislessico tutte queste abilità sono carenti o scarse al punto da avere enormi difficoltà nella riproduzione verbale di parole. Fenomenologicamente la dislessia si manifesta con un deficit di processamento percettivo dell’informazione visiva:

  • inversioni di lettere,
  • errori di specularità,
  • percezione delle parole sovrapposte o in movimento,
  • ridotta abilità di focalizzazione su singoli elementi.

 

DISLESSIA: COME AFFRONTARLA

Per quanto riguarda il trattamento della dislessia un primo strumento essenziale per chi ne è affetto è indubbiamente la capacità di comprendere il funzionamento dei propri processi mentali (come la memoria, l’attenzione, ecc..), esercitando un controllo su di essi: ad es. “so che mi è difficile memorizzare le tabelline come fanno gli altri… utilizzerò la tavola pitagorica!” oppure “considerando che quando studio mi distraggo facilmente, oggi il mio cellulare resterà spento!” (Cornoldi, 1995). Sono ormai numerose le ricerche che mostrano l’importanza fondamentale degli aspetti metacognitivi e di un approccio autoregolato allo studio (De Beni, Moè, Rizzato, 2003). Grazia alla possibilità di aumentare la consapevolezza che ogni bambino/ragazzo possiede circa il funzionamento della propria mente e all’uso strategico dei processi metacognitivi di controllo esercitati sui propri processi cognitivi, lo studente impara a pianificare e organizzare delle attività da svolgere, perché consapevole del livello di impegno richiesto da ciascuna materia. Nello specifico, la comprensione del compito e della sua difficoltà, la scelta della strada da seguire per affrontarlo (strategie da adottare), la pianificazione delle fasi del compito da svolgere, la previsione dell’esito finale, il monitoraggio del processo, la valutazione dei risultati e dei progressi ottenuti.

Questo obiettivo si concretizza nella capacità del ragazzo di sapere individuare le proprie criticità e i propri punti di forza ed effettuare un’autovalutazione sul proprio operato. In questo percorso di accompagnamento allo studio lo psicologo assume il ruolo di facilitatore, fornendo allo studente degli aiuti temporanei che portino, pur con strategie diverse e personalizzate, al raggiungimento di un fine comune: l’autonomia.

Tra le App mediche sta guadagnando sempre maggior rilievo WinABC, un programma di lettura temporizzata utilizzato nella riabilitazione della dislessia.

WinABC si basa su un trattamento di tipo sub-lessicale, che è applicato a unità via via più ampie, a partire dalla lettera, passando per la sillaba e la parola intera.

Il trattamento mira a supportare i bambini con difficoltà nella decifrazione, lenta o scorretta che sia, attraverso l’automatizzazione del riconoscimento sub-lessicale. Dopo un trattamento di tre mesi con questo sistema di lettura i soggetti dislessici evidenziano un recupero di lettura superiore a quanto atteso dall’evoluzione spontanea (Tressoldi et al. 2001).

 

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Estate, sole e sicurezza: ecco alcuni consigli utili

Proteggersi dal sole è di fondamentale importanza in quanto una sconsiderata esposizione solare può portare a dei danni anche permanenti.

Da un lato l’interazione tra la luce solare e la pelle è fondamentale, ad esempio per la sintesi di vitamina D, per stimolare la produzione di ormoni che regolano il ciclo del sonno-veglia e ormoni che regolano il tono dell’umore (endorfine).

Inoltre si è visto come esporsi al sole sia utile nell’aiutare i pazienti neoplastici.

Dall’altro lato però il sole può causare danni diretti ed indiretti, che possono essere distinti in acuti e cronici.

La pelle, infatti, per proteggersi dall’aggressione dei raggi solari mette in atto una serie di ben precisi meccanismi di difesa che portano ad un aumento del suo spessore, oltre che alla liberazione e sintesi di melanina.

Le scottature: danni acuti

Il primo segnale che è possibile osservare sulla pelle in seguito al danno acuto è l’arrossamento, un eritema localizzato su tutte le aree foto-esposte. Dopo qualche ora, il colore della pelle cambia, ci si abbronza, in seguito alla liberazione di melanina. Infine, la pelle inizia ad ispessirsi. Il danno acuto può talora associarsi ad una immunodepressione momentanea.
Il danno acuto è dovuto essenzialmente ai raggi UVB che da un lato inducono un’infiammazione e dall’altro determinano un danno diretto al DNA delle cellule dello strato basale dell’epidermide.

Anche gli UVA sono implicati nel danno acuto, ma in maniera minore, attraverso l’ossidazione delle membrane cellulari ed il danno al DNA da parte dei radicali liberi dell’ossigeno prodotti, ma ad uno strato più profondo.

L’accumulo di più danni acuti può alla lunga provocare danni cronici e certe volte anche danni irreversibili.

Danni cronici, a lungo termine

La gran parte delle volte sono causati dai raggi UVA.

Gli UVA, pur avendo un carico di energia inferiore rispetto agli UVB, sono in grado di penetrare più in profondità nella cute, fino al derma papillare ed  inducono:

  • il photoaging: si evidenzia con secchezza cutanea, lentigo solari al dorso delle mani, avambracci, volto, dorso, rughe marcatamente profonde, melasma e cloasma (iperpigmentazione della pelle), teleangectasie (capillari visibili), marcata lassità cutanea, macchie color porpora e precancerosi cutanee.
  • l’immunosoppressione: si manifesta con abbassamento delle difese immunitarie e possibile insorgenza di infezioni e/o favoreggiamento della cancerogenesi.
  • la foto-carcinogenesi: si forma con un processo multistep dovuto a danno diretto ed indiretto del DNA cellulare, la mancata riparazione di tale danno perché grave fin dall’inizio, accumulo di danni pregressi, immunosoppressione e quindi il conseguente sviluppo di cellule tumorali con possibile insorgenza di melanoma, basalioma ect.

Quindi…cosa fare?

  • Occorre esporsi correttamente al sole evitando di farlo durante le ore centrali della giornata,
  • applicare sulla pelle un filtro solare a largo spettro, ripetendo l’applicazione più volte al giorno ogni 2-3 ore
  • indossare tessuti specializzati in grado di proteggere la pelle
  • assumere integratori per la fotoprotezione
  • se si nota la presenza di lesioni cutanee sospette contattare il proprio dermatologo di fiducia per una visita.
 

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Nella maggior parte dei casi i sintomi di un infarto sono difficili da identificare. Se avvertite un forte dolore improvviso nella zona del petto che si estende fino al braccio sinistro o alla schiena, dovete intervenire subito, poiché siete in serio pericolo di morte.

Tuttavia, quando si tratta di un pre-infarto o angina pectoris, la situazione non è così pericolosa anche se è comunque richiesta un’immediata attenzione medica. Questo disturbo, infatti, è un chiaro segnale che c’è qualcosa che non va nel nostro corpo. 

A seguire descriviamo i segnali da tenere sotto controllo al fine di riconoscere un pre-infarto e prevenire problemi molto più gravi.

La prima cosa da chiarire è in cosa consista un episodio di pre-infarto. Il pre-infarto rappresenta un’alterazione del corretto funzionamento del muscolo cardiaco, chiamato  miocardio. L’errato funzionamento di questo muscolo provoca un forte dolore al petto, il quale si produce perché il cuore non sta ricevendo il normale flusso di sangue. Questo dolore al petto può apparire con una certa frequenza e in forma acuta, dato che si tratta di un chiaro segnale di una malattia delle arterie coronariche in corso. Tale condizione richiede un trattamento specializzato che può essere prescritto da un cardiologo.

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(Dott.ssa Serafina PETROCCA)

I DISTURBI DEL “MAL DI PANCIA“ : COME PREVENIRE E COMBATTERE I SINTOMI DI DISURBI INTESTINALI

Nei paesi industrializzati i disturbi dell’intestino sono tra i più diffusi. A soffrirne di più sono le donne; le cause più comuni sono rappresentate da stress, ansia, sedentarietà e il consumo di poche fibre.

La sindrome del colon irritabile

Comunemente definita “colite”, comprende un insieme di sintomi anche molto diversi tra loro.

A soffrirne di più sono le donne!

In generale non è da considerarsi una vera e propria patologia, in quanto arreca lievi disturbi ma, in una piccola percentuale dei casi, è una condizione che può arrivare ad alterare la qualità di vita del soggetto.

I sintomi

La maggior parte degli individui che soffrono di colon irritabile avvertono dolori e crampi addominali, spesso alleviati dopo eliminazione di gas intestinali o evacuazione delle feci.

Altro fastidio associato alla sindrome sono gonfiori e flatulenza, a volte dovuti a un’alterazione della flora intestinale o, molto più spesso, a cibi che si è poco abituati a consumare (per esempio i legumi).

Infine possono essere espressione della colite anche le alterazioni della motilità intestinali, che si manifestano con episodi di stitichezza e diarrea.

Le cause

Conoscerne le cause permette, come sempre, di evitare in parte il problema o almeno un suo aggravamento. Ecco i fattori che più frequentemente determinano la colite:

√ una dieta non equilibrata: spesso viene adottata una dieta povera di acqua e di fibre. Sono le fibre, soprattutto quelle di natura insolubile che, assorbendo acqua, garantiscono un aumento e un ammorbidimento delle feci. Tutto questo facilita l’evacuazione della massa fecale e dunque la riduzione di gas e dolori addominali.

Se da una parte l’introduzione di fibre vegetali, come cereali, verdura e frutta, è utile in modo particolare per la prevenzione, occorre sottolineare che a volte può essere essa stessa la causa di colite. In particolare nei soggetti sensibili, quando la fibra è assunta in eccesso o non si è abituati a consumare alimenti fibrosi, si può ottenere un risultato opposto a quello sperato con produzione di gas, dolori e diarrea;

√ assunzione di alimenti non tollerati dall’organismo : tra quelli che si tollerano poco rientrano il latte e i suoi derivati (ricotta, formaggi specie se fermentati, gelati…);

√ il carattere e le emozioni: non è infrequente osservare i sintomi di colite in soggetti con un carattere di natura emotiva e ansiosa; inoltre stress, rabbia trattenuta, forti emozioni inespresse possono portare alla contrazione della parte intestinale, causando e, in molti casi, aggravando la sintomatologia;

√ farmaci: l’abuso di lassativi può portare alla manifestazione dei classici sintomi da colite, soprattutto per chi fa uso di sostanze di origine naturale, perché anche gli estratti di piante possono essere dannosi se usati in modo improprio ed eccessivo.

√ molte altre patologie a carico dell’intestino , come diverticolite, celiachia ecc… possono determinare uno stato infiammatorio dell’intestino o aggravare problematiche già presenti.

I consigli utili a tavola

Poche e semplici norme da seguire quando si è a tavola possono essere ottimi alleati per prevenire il fastidioso disturbo:

√ masticare lentamente: facilita la degradazione del cibo e, in tal modo, la flora batterica produrrà meno gas intestinali;

√ evitare il consumo di bevande gassate e zuccherate: il gas delle bibite gasate, specie se fredde, intensifica il contenuto di gas, e nel caso di quelle zuccherate aumentano le fermentazioni intestinali;

√ aumentare gradualmente il contenuto di fibra alimentare: per prevenire questi disturbi è stata più volte sottolineata l’importanza di arricchire la propria dieta con frutta e verdura. Occorre però farlo gradualmente partendo da verdure poco fibrose come zucca, zucchine, carote, meglio se cotte, e via via introdurre le verdure più fibrose, come fagiolini, finocchi, spinaci… valutando sempre la propria suscettibilità. Lo stesso discorso vale per i cereali: inizialmente si scelgono quelli semintegrali per poi passare a quelli integrali. Per quanto riguarda i legumi si consiglia di introdurli nella dieta con molta cautela, iniziando con piccole porzioni, meglio se decorticati come le lenticchie, per poi aggiungerne un cucchiaio nelle minestre o nelle insalate (per esempio quelle di riso).

È possibile che all’inizio si avverta una leggera tensione addominale e flautolenza, ma gradatamente, in 20-30 giorni, si imparerà a tollerare sempre di più gli alimenti fibrosi;

√ introdurre alimenti prebiotici: in grado di nutrire e creare le condizioni più adatte alla crescita della flora intestinale. Alimenti che contengono sostanze con queste potenzialità sono: topinambur, carciofi, cicoria (in particolare la radice), in misura minore in cipolla e aglio;

√ identificare eventuali intolleranze alimentari: a tale scopo è utile tenere un diario alimentare in cui annotare gli alimenti consumati nella settimana, questo permetterà di individuare la correlazione tra cibo ingerito e comparsa dei sintomi.

Sarà così possibile orientare meglio le proprie scelte alimentari per attutire i disturbi.

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L'Istituto Es è impegnato anche nello sviluppo delle tecniche di medicina della riproduzione e opera in affiancamento a strutture riconosciute su scala nazionale per l'applicazione della legge 40/2004, sulla procreazione medicalmente assistita (PMA), in pieno accordo con l'approccio graduale, secondo cui la coppia accompagnata e supportata alla procreazione assistita dopo una diagnosi specifica e accurata e dopo tutti i provvedimenti terapeutici volti a ottenere un concepimento naturale.

MEDICINA DELLA FERTILITA':VISITA E DIAGNOSI PRECOCE, SENZA ATTESE!

Accedere ai Servizi del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) per una coppia è diventato complicato e le attese per una visita specialistica sono lunghissime.

Presso il nostro Poliambulatorio il dott. Claudio Castello effettua una prima visita per determinare eventuali alterazioni, patologie o malattie sistemiche o genetiche e inquadrare esattamente la problematica.

📎 Dott. CASTELLO CLAUDIO

+ specialista in Ginecologia e Ostetricia

+ con competenze in sterilità di coppia e fisiopatologia della riproduzione.

+ Responsabile scientifico e trattamento del centro FIVET dell’ospedale Maria Vittoria


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La neurologia è la branca della medicina che si occupa dello studio e del trattamento dei disturbi del sitema nervoso

  • sia quello centrale (il cervello e il midollo spinale)
  • che quello periferico (costituito da tutti gli altri elementi nervosi, incluse le strutture presenti negli occhi, nelle orecchie e nella pelle).

Di cosa si occupa il neurologo?

Il neurologo è un medico specializzato in neurologia. Si occupa della diagnosi e del trattamento dei problemi che colpiscono ilcervello, il midollo spinale  e i nervi, senza però ricorrere alla chirurgia, ambito di azione del neurochirurgo.
Molti neurologi sono ulteriormente specializzati in un settore della neurologia, ad esempio nel trattamento di ictus, epilessia, problemi neuromuscolari, disturbi del sonno, del dolore, dei tumori del sistema nervoso o dei problemi tipici della terza età.

Quali sono le patologie trattate più spesso dal neurologo?

Le patologie più spesso trattate dal neurologo sono:

  • cefalee e le altre forme di mal di testa
  • disturbi del linguaggio
  • disturbi del movimento
  • epilessia
  • infezioni del cervello e del sistema nervoso periferico, come l'encefalite, la meningite e gli ascessi cerebrali
  • malattie cerebrovascolari, come l'ictus
  • malattie neurodegenerative, comel'Alzheimer, il Parkinson e la Sclerosi Laterale Amiotrofica
  • patologie che portano alla perdita della mielina nel sistema nervoso centrale, come la sclerosi multipla
  • problemi al midollo spinale, incluse le malattie infiammatorie e quelle autoimmuni

Quali sono le procedure più utilizzate dal neurologo?

Dopo un'accurata anamnesi il neurologo conduce un esame fisico e neurologico del paziente, valutando la forza muscolare, i riflessi e le capacità di coordinazione. Per approfondire la diagnosi può affidarsi a procedure come:

  • angiografia
  • elettroencefalogramma
  • elettromiografia
  • Pet
  • puntura lombare
  • risonanza magentica
  • Tac
  • test al Tensilon

Quando chiedere una visita neurologica?

Una visita neurologica è utile quando si sospettano problemi al sistema nervoso centrale.

Fra i sintomi che dovrebbero far scattare il campanello d'allarme sono inclusi difficoltà di

  • coordinazione,
  • debolezza muscolare,
  • alterazioni delle capacità sensoriali (inclusi il tatto, la vista e l'olfatto),
  • formicolii e
  • incontinenza intestinale

 

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La psoriasi è una dermatite cronica che comporta lesioni caratterizzate da pelle ispessita con aspetto squamoso. Le cause della psoriasi possono essere diverse; può esser un problema legato al sistema immunitario oppure a stress, infezioni o farmaci. 

La psoriasi può manifestarsi a qualsiasi età, di solito tra i 15 e i 35 anni in in forma lieve o grave tanto da condizionare negativamente la vita delle persone. Non è possibile curarla ma solo tenerla sotto controllo, anche per un lungo periodo.

I rimedi variano a secnoda della gravità. In forma lieve e moderate, il dermatologo utilizza topici emollienti, cheratolitici, steroidi e derivati della vitamina D. Per le forme più impegnative possono essere richiesti farmaci sistemici.

 

I dolori al seno sono molto comuni. Le cause possono essere molteplici e in genere non sono gravi.
Consigliamo di consultare il medico o di effettuare una mammografia o una ecografia mammaria se:

⚠️  il dolore tale da impedire di svolgere le normali attività
⚠️  il dolore peggiora o non si arresta
⚠️  si avvertono i sintomi di un’infezione, come gonfiore, arrossamento e surriscaldamento del seno o compare la febbre

Sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità:

Il dolore al seno, noto anche come mastalgia, colpisce gran parte delle donne ad un certo punto della vita. Può manifestarsi in diverse forme, dal senso di pesantezza, al dolore intenso, alla sensazione di bruciore in ogni parte del seno e delle aree circostanti. Molte volte, il dolore è ritenuto segno di un problema serio come, ad esempio, un tumore al seno ma di per sé è raramente indice della sua presenza.

 

Le cause di dolore al seno includono:

 

  • cambiamenti ormonali legati al ciclo mestruale
  • stato di gravidanza
  • noduli al seno
  • mastite
  • ascesso mammario
  • lesioni al seno
  • problemi dovuti all’allattamento
  • inconvenienti legati a medicazioni
  • tumore al seno (sebbene il dolore non sia frequente)

 

Dolore dovuto a cambiamenti ormonali legati al ciclo mestruale

 

Le variazioni nei livelli ormonali possono causare dolore al seno nei casi in cui:

 

  • il ciclo mestruale sia ancora attivo (non si è ancora in menopausa) o si stia seguendo una terapia ormonale sostitutiva (TOS)
  • il dolore si faccia sentire nello stesso periodo ogni mese, generalmente da uno a tre giorni prima delle mestruazioni e si attenui al loro termine
  • il dolore sia diffuso a entrambi i seni (sebbene a volte il dolore si avverta solo da una parte)

 

Per attenuare il dolore è consigliabile indossare un reggiseno specifico per lo sport, anche di notte e durante l’attività fisica, prendere medicinali antidolorifici da banco come, ad esempio, quelli a base di paracetamolo o ibuprofene o applicare gel a base di ibuprofene o diclofenac. Se non si riesce a alleviare il dolore, è consigliabile rivolgersi al medico di famiglia che potrà prescrivere farmaci per il controllo dei livelli ormonali come danazolo, tamoxifene o goserelina.

 

Stato di gravidanza

 

Indolenzimento e sensibilità del seno, talvolta, sono segnali precoci di una gravidanza, se associati a:

 

  • interruzione del ciclo mestruale
  • sensazione di nausea e stanchezza
  • necessità di urinare con più frequenza
  • alterazioni del gusto e dell’odorato e voglia di cibi specifici

 

In presenza di questi disturbi (sintomi) si può fare in autonomia, a casa, un test di verifica della gravidanza.

 

Noduli al seno

 

Ci sono vari tipi di noduli al seno, alcuni dei quali provocano dolore:

 

  • fibroadenoma, nodulo duro e liscio che può cambiare posizione nella mammella e, in genere, è più diffuso tra le donne giovani
  • cisti, formazione contenente una sostanza fluida che si sviluppa nel tessuto mammario, più comune nelle donne sopra i 35 anni
  • mastite e ascessi mammari

 

La maggior parte dei noduli al seno non desta preoccupazione, ma occorre consultare il medico di famiglia per accertarsi che non costituiscano il segno di una malattia seria come, ad esempio, un tumore. La terapia dipende dal tipo di nodulo; in alcuni casi non occorre alcuna cura.

 

Mastite

 

Si verifica quando il tessuto di cui è costituito il seno (tessuto mammario) si infiamma a causa di una infezione batterica, o per cause legate all’allattamento, arrossandosi, gonfiandosi e provocando dolore. La mastite può anche causare:

 

  • arrossamento e rigonfiamento del tessuto mammario che si surriscalda
  • sensibilità del seno
  • formazione di un nodulo o di un’area solida nel tessuto mammario
  • secrezione dai capezzoli
  • disturbi di tipo influenzale, come indolenzimento, febbre e brividi di freddo

 

Se si sospetta una mastite, è opportuno contattare il medico di famiglia perché se non si interviene con una cura, ad esempio di antibiotici, si potrebbe andare incontro ad un ascesso.

 

Ascesso del tessuto mammario

 

L’ascesso provoca la formazione di pus, generalmente dovuto a un’infezione batterica. È doloroso e i noduli infiammati possono arrossarsi e riscaldarsi fino a generare infiammazione nell’area circostante e a provocare la febbre. In questi casi, è bene consultare il medico di famiglia per valutare se sia necessaria una cura antibiotica e, eventualmente, l’aspirazione del pus.

 

Danni al seno

 

Il dolore al seno può derivare da un danno (lesione) ai muscoli, alle articolazioni o alle giunture presenti nell’area del petto, oppure può essere trasmesso dai nervi della zona toracica dando la sensazione che il dolore si sviluppi dal seno. Alcuni esempi di danni che causano dolore al seno includono:

 

  • stiramento di un muscolo toracico
  • lesione al collo, alla spalla o alla schiena
  • costocondrite, infiammazione nell’area di congiunzione delle costole (coste) alle ossa della cassa toracica
  • intervento chirurgico precedente (pregresso) al seno

 

Il dolore al seno può essere provocato da una lesione se lo si avverte concentrato in un punto e se peggiora con il movimento. Per alleviarlo può essere utile indossare un reggiseno specifico per lo sport e prendere dei farmaci antidolorifici, se consigliati dal medico; a volte, se il dolore persiste, possono essere necessarie iniezioni di farmaci corticosteroidi e anestetici locali.

 

Problemi dovuti all’allattamento

 

Il dolore durante l’allattamento può dipendere da:

 

  • ingorgo mammario, vale a dire un’ostruzione dei dotti lattiferi
  • mastite, dolore e gonfiore causati dall’ostruzione dei dotti lattiferi dovuti a un’infezione batterica
  • ascesso mammario, formazione dolorosa di pus che si produce in caso di mastite non curata
  • infezione da candida ai capezzoli, in caso di piccole ferite ai capezzoli

 

Nel caso il dolore si produca in concomitanza con l’allattamento, è consigliabile rivolgersi al personale dei reparti di ostetricia per sapere come attenuarlo.

 

Inconvenienti legati a medicazioni

 

A volte il dolore al seno può essere un effetto indesiderato di alcuni medicinali:

 

  • contraccettivi, la maggior parte di quelli a base di ormoni come, ad esempio, pillole anticoncezionali, cerotti, iniezioni e dispositivi intrauterini, può causare tensione al seno
  • antidepressivi, come la sertralina
  • antipsicotici (utilizzati per curare alcune malattie mentali) come l’aloperidolo

 

È buona regola accertarsi, leggendo il foglietto illustrativo del farmaco che si sta assumendo, se il dolore, o la tensione, al seno rientrino tra gli effetti indesiderati (effetti collaterali). Occorre rivolgersi al medico di famiglia nel caso in cui il dolore divenga particolarmente intenso poiché potrebbe essere necessario cambiare farmaco.

 

Tumore al seno

 

Raramente il dolore di per sé è riconducibile alla presenza di un tumore al seno che, con più probabilità, si manifesta con disturbi (sintomi) quali:

 

  • presenza di un nodulo solido che rimane localizzato in un’area del seno
  • cambiamento di dimensione o di forma di uno o di entrambi i seni
  • presenza di secrezione dal capezzolo con striature di sangue
  • avvallamento del seno
  • arrossamento del capezzolo o dell’area circostante
  • capezzolo rientrato

 

Se si sospetta di avere un tumore al seno bisogna rivolgersi subito al medico di famiglia per eseguire gli accertamenti necessari.

 

 

 

È bene consultare il medico se:

 

  • il dolore è particolarmente intenso, tanto da impedire di svolgere le normali attività
  • il dolore peggiora o non si arresta
  • si avvertono i sintomi di un’infezione, come gonfiore, arrossamento e surriscaldamento del seno o compare la febbre
  • si manifestano i sintomi collegati alla presenza di un tumore

 

Il medico di famiglia, esaminando il seno e informandosi sui disturbi presenti, cercherà di risalire alla causa del dolore oppure prescriverà una radiografia o una ecografia presso un centro specializzato. Dover eseguire tali, ulteriori accertamenti potrebbe provocare un certo allarme ma si tratta di normali controlli che non servono solo per accertare il tumore del seno. La maggior parte delle donne che si sottopongono a questi esami non risultano, infatti, colpite da tumore.

 

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ATTACCO DI PANICO è caratterizzato da:

+ ansia intensa

+ tachicardia

+ fiato corto 

+ paura di morire 

+ paura di impazzire

Può presentarsi in qualsiasi momento e spesso è associato a periodi di forte stress e stanchezza.

Quando gli attacchi di panico si presentano frequentemente in un breve lasso di tempo allora si parla di disturbo di panico.

Il disturbo di panico è un disturbo presente nel DSM-5 nel capitolo dei disturbi d’ansia, insieme al disturbo d’ansia generalizzata, alle fobie e altri disturbi d’ansia specifici.

IL TRATTAMENTO

Prevede l’utilizzo di farmaci ansiolitici o antidepressivi, o tecniche di rilassamento, colloqui clinici e psicoterapia.

I SINTOMI

I sintomi dell’attacco di panico riguardano sia aspetti psichici che fisici. I principali sintomi dell’attacco di panico sono:

   + paura di perdere il controllo

   + palpitazioni

  + sudorazione intensa

   + dolore al petto

 

   + tremori

 

   + sensazione di soffocamento

   + brividi

   + nausea

   + formicolii o intorpidimento a gambe o braccia

   + senso di sbandamento e vertigini

Non è necessario che durante un attacco siano presenti tutti questi sintomi, ed è differente da persona a persona ma, per tutti, più è frequente la manifestazione dei sintomi e più è grave il disturbo.

Nei casi più gravi gli attacchi possono essere addirittura nell’arco della stessa giornata.

Quando gli attacchi di panico sono frequenti si parla di disturbo di panico.

Il disturbo di panico è un disturbo del DSM-5 presente nel capitolo dei disturbi d’ansia. E’ un disturbo caratterizzato dalla presenza di ricorrenti attacchi di panico (almeno due, anche se in genere gli attacchi sono molti di più) definiti come “inaspettati” ossia non si evidenziano cause scatenanti l’attacco.

In un disturbo di panico gli attacchi possono comparire come fulmini a ciel sereno, in alcuni casi quando l’individuo si sta rilassando o addirittura durante il sonno. Secondo il DSM-5 la diagnosi di disturbo di panico è possibile se sono presenti almeno 4 dei seguenti sintomi:

  • palpitazioni o tachicardia
  • sudorazione
  • tremori
  • sensazione di fiato corto o di fatica nel respirare
  • sensazione di soffocamento
  • dolore retrosternale
  • nausea o dolori addominali
  • vertigini, sensazione di instabilità, testa leggera o sensazione di svenimento
  • brividi o vampate di calore
  • parestesie (sensazioni di formicolio o di intorpidimento)
  • derealizzazione (sensazioni di irrealtà) o depersonalizzazione (sentirsi separato da se stesso)
  • sensazione di perdita del controllo o di “diventare matto”
  • paura di morire

Inoltre provoca una riduzione della qualità di vita del soggetto che riduce significativamente la sua vita sociale, o lavorativa perchè in ansia per l'arrivo dell'eventuale crisi.

 

CAUSE MOLTO DIVERSE

In genere il primo attacco si verifica durante un periodo particolarmente stressante della persona, dovuto ad un evento acuto oppure alla presenza di tanti fattori concomitanti.

Le principali cause possono essere:

  • lutti
  • malattie gravi
  • cambiamenti importanti nella vita (matrimonio, lavoro, separazioni)
  • periodi di iperlavoro o di scarso riposo
  • situazioni relazionali conflittuali
  • cambiamenti di ruolo (ad es. il pensionamento)
  • traumi
  • problematiche finanziarie

Essendo il primo attacco di panico di una persona assolutamente inaspettato, fa pensare che anche il prossimo si presenterà senza avvertimenti.

Questo porta i soggetti in una tensione costante, in una sorta di ansia anticipatoria e questa “paura della paura” aumenta lo e stress e favorisce futuri attacchi, instaurando un circolo vizioso.

 

QUANTO DURA UN ATTACCO DI PANICO?

Un attacco di panico in genere dura tra i 5 e i 20 minuti a volte di più, ma non supera in genere un'ora. Al di là del tempo effettivo il paziente è convinto che sia a serio rischio la propria incolumità e l'ansia provata molto forte.

I sintomi spariscono dopo circa 20 minuti  lasciando la persona profondamente sbigottita e allarmata.

LE TECNICHE DI CONTROLLO DEL RESPIRO limitano la durata degli attacchi o ne impediscono l’insorgenza.

 

LE CONSEGUENZE PSICOLOGICHE

Chi ne soffre sviluppa conseguenze psicologiche sia cognitive ed emotive, che comportamentali.

Sono preoccupati x la propria salute fisica, credendo di avere gravi malattie, sviluppano problemi legati alla sfera del sociale o impedimentio a livello di automia personale.

Hannopaura di ritrovarsi da soli durante un attacco senza aiuti esterni ( ad es. evitano l'uso dell’auto o situazioni in cui possono rimanere da soli  

Oppure, tendono ad isolarsi e non uscire di casa  perchè preoccupati di avere un attacco in situazioni con  tante persone, per paura di essere giudicati negativamente dagli altri, quindi

 L'AGORAFOBIA COME CONSEGUENZA

Si puà sviluppare il disturbo d'ansia dell'agorafobia, cioè la paura degli spazi aperti ma anche paura collegata a diversi luoghi.

Nello specificoè la paura:

  • ad usare trasporti pubblici (treni, autobus, taxi etc.)
  • degli spazi aperti (centri commerciali, ponti etc.)
  • degli spazi chiusi (negozi, cinema etc.)
  • dello stare in fila o in mezzo ad una folla
  • di stare da solo fuori casa

Spesso la paura di avere degli attacchi in contesti pubblici porta ad evitare determinate situazioni o contesti, ma questo rinforza la paura e la alimenta, portando così a sviluppare l’agorafobia.

 

LE DIVERSE CURE PER FARSI AIUTARE

Il primo passo è accettare di avere un problema e farsi aiutare.

In genere i trattamenti possono essere di tipo

  • farmacologico
  • psicoterapeutico
  • integrare farmacoterapia e psicoterapia

Difficilmente questi disturbi possono essere curati da soli, SERVE UN PROFESSIONISTA che trovi una strategia adatta ed eviti che si cronicizzi il problema.

In genere di fronte a frequenti attacchi di panico, si escludono cause di natura organica (per questo è consigliabile chiedere al proprio medico curante).

Dopo essersi accertati che la natura degli attacchi è psicologica si iniziare la cura.

 

TERAPIE  FARMACOLOGICHE

Una tipologia di farmaci molte spesso utilizzati sono:

LE BENZODIAZEPINE, ossia farmaci sintomatici, che agiscono temporaneamente sul l'ansia , bloccando l’attacco di panico, ma se non si capiscono le cause scatenti, smettendo il farmaco il disturbo può ripresentarsi.

GLI ANTIDEPRESSIVI Attualmente vengono privilegiati gli SSRI, “di nuova generazione” che,  sono meglio tollerati e con minor effetti collaterali.

 

CURA PSICOLOGICA

In concomitanza o in alternativa alla terapia farmacologica è possibile affrontare un percorso di psicoterapia.

Una delle possibile psicoterapie utili in questi casi è la TERAPIA COGNITIVO COMPORTAMENTALE, efficace perchè attraverso:

  • esercizi di rilassamento
  • di gestione e controllo del respiro
  • uniti ad un lavoro su pensieri e idee disfunzionali

è possibile ridurre, se non eliminare gli attacchi di panico e ritrovare un senso di benessere e di autoefficacia.

Parte fondamentale della terapia cognitivo comportamentale è la PSICOEDUCAZIONE che consiste nel fornire:

  • informazioni cliniche sugli attacchi di panico,(ad es. sulla loro non pericolosità e sui meccanismi che mantengono il disturbo).
  • informazioni su strategie per controllare il disturbo (ad es. respirare dentro un sacchetto di carta aiuta a ridurne l’intensità),
  • vengono affrontate le principali paure, sfatatando molti miti (ad es. non significa che il soggetto stia impazzendo).
  • affrontate le principali strategie maladattive del paziente che viene aiutato a riappropriarsi della propria quotidianità.

 

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"Quello che spesso ci si sente dire è di mangiare frutta e verdura di stagione. Vi siete mai chiesti perché? 

I prodotti di stagione garantiscono il meglio delle proprietà nutrizionali, in quanto vengono consumati nel corso della loro naturale stagione di maturazione ed hanno per questo proprietà nutritive superiori rispetto ad un frutto o a una verdura non di stagione.

D’estate non si può non parlare del betacarotene e della sua immediata associazione con l’abbronzatura.

ll betacarotene è infatti una delle più importanti fonti di vitamina A o reticolo che è responsabile del mantenimento di una buona salute di vista, pelle e denti, oltre che di un rafforzamento del sistema immunitario grazie alle sue proprietà antiossidanti.

Le fonti alimentari di betacarotene sono in particolare i vegetali di colore giallo-arancione-rosso come le carote, i peperoni, le albicocche, il melone ma anche le verdure a foglia verde come le bietole, i broccoli e gli spinaci.

Focalizzandoci di più sul fattore pelle, è fondamentale sapere che il retinolo ostacola l’invecchiamento della pelle e la protegge dall’azione dannosa dei raggi ultravioletti; l’apporto di betacarotene è quindi molto importante per proteggerci, limitando i danni dei raggi UV (ma senza mai dimenticare l’importanza dell’utilizzo delle creme solari).

Ricordate quindi che un’alimentazione ricca di frutta e verdura di stagione aumenta le capacità di difesa del vostro corpo.”

 

Chiedi una consulenza dietistica alla nostra dott.ssa ACCARDI FRANCESCA:

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Le malattie sessualmente trasmissibili (MST)

Le malattie sessualmente trasmissibili (MST), si trasmettono per contagio diretto tramite contatto sessuale.

Sono in genere causate da batteri, virus e protozoi che passano da un individuo all’altro mediante il passaggio di liquidi biologici infetti.

Queste patologie possono colpire gli organi genitali o altri organi e apparati.

Cosa sono esattamente?

Vengono principalmente diffuse attraverso l'attività sessuale, ma è possibile essere infettati anche senza contatti sessuali ad esempio, nel caso di

  • trasmissione da madre a bambino durante la gravidanza o il parto, 
  • trasfusioni di sangue infetto 
  • uso di aghi (tatuaggi) o strumenti chirurgici non adeguatamente sterilizzati

Da cosa possono essere causate?

  • batteri (gonorrea, sifilide, clamidia);
  • virus (Papillomavirus umano, herpes genitale, Hiv, epatite A, B e C);
  • protozoi (come la tricomoniasi).
  • funghi (Candida Albicans)

Quali sono segni e sintomi?

Segni o sintomi possono comparire, a seconda del tipo di infezione, da alcuni giorni ad alcuni anni dopo l'esposizione.

Alcune infezioni sono banali e si risolvono in pochi giorni (è il caso della Candida Albicans), o qualche settimana, senza conseguenze.

Altre volte (come nel caso dell’HIV o della sifilide) la progressione della patologia può portare a complicanze serie e alcune volte letali.

Alcune di queste infezioni possono decorrere in modo del tutto asintomatico per molto tempo, pur conducendo a serie alterazioni funzionali di alcuni organi con decadimento della loro funzione (è il caso per esempio dei danni a carico delle tube da parte della Clamidia Trachomatis, con conseguente infertilità).

 ATTENZIONE SE NOTATE:

  • piaghe sui genitali, nella zona rettale o nella zona orale
  • bruciore o dolore alla minzione
  • secrezioni dal pene
  • perdite vaginali (leucorrea)
  • perdite vaginali ematiche
  • ingrossamento dei linfonodi, soprattutto nell'area inguinale
  • dolori pelvici, accompagnati in alcuni casi a febbri persistenti o a diarrea
  • rash cutaneo su tronco, mani o piedi

S i possono prevenire o ridurne il rischio di trasmissione?

Sì, ci sono diversi modi:

  • Astensione dall'attività sessuale “a rischio” come rapporti occasionali e nel caso utilizzare il preservativo
  • Vaccinarsi per prevenire:  *Papillomavirus umano (Hpv) *epatite A *epatite B
  • Evitare droghe e non abusate di alcol, il cui effetto favorisce comportamenti sessuali azzardati
  • Non condividere rasoi, forbici, aghi, spazzolino da denti, che possono penetrare la cute o le mucose.
  • Se vuoi farti un tatuaggio, accertati sulle procedure di disinfezione e sterilizzazione degli strumenti.

 

TEST ed ESAMI per accertare e diagnosticare se hai un'infezione

  • esame obiettivo specialistico
  • esami del sangue
  • analisi dell'urina
  • esami di campioni di fluidi biologici

 

Varie scelte per i trattamenti di queste infezioni

Se l'infezione è causata da batteri è generalmente più facile da curare, mentre le infezioni virali possono essere seguite nel tempo, ma non sempre curate.

Nel caso delle infezioni causate da batteri e protozoi vengono impiegati antibiotici somministrati per uso locale o sistemico.

** È preferibile astenersi dall'attività sessuale fino al completamento del trattamento e alla regressione delle eventuali lesioni.

Nel caso di infezioni virali vengono impiegate terapie antivirali (come nel caso dell’Herpes) o trattamenti chirurgici locali (come nel caso dell’HPV).

Nel caso del virus dell'Hiv: non ci sono terapie in grado di eliminare definitivamente il virus, ma le attuali cure lo tengono sotto controllo per molti anni e la mortalità è decisamente calata negli ultimi decenni.

 

#PrevenzioneES

*SCREENING *CHECK-UP *ESAMI DIAGNOSTICI *ECOGRAFIE

 

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Abbronzatura, tra bufale e falsi miti

Anche una pelle ambrata non è mai esente da rischi. Scottature, eritemi o tumori della pelle, sono problemi reali da cui è importante proteggersi.

Il nostro dermatologo ci aiuta a fare chiarezza sui rischi dell'abbronzatura

Di falsi miti su estate e abbronzatura ne circolano molti: c’è chi pensa che le ustioni, per quanto possano essere fastidiose e, spesso, anche dolorose, non abbiano effetti. Oppure che per avere una bella pelle dorata sia importante fare il pieno di betacarotene. 

Abbiamo provato a sfatare quelli più comuni...

Le ustioni sono innocue e non hanno effetti sul lungo periodo: FALSO

Questo vale soprattutto per i bambini. Pensate che un’ustione subita all’età di 5 anni vale 20 volte volte un’ustione presa a 15 anni, e che questa vale 20 volte una subita a 30. A 40 anni si subiscono ancora i danni delle ustioni degli anni precedenti. E non si parla solo di ustioni dolorose e spellamenti. Anche un semplice arrossamento della pelle può essere dare problemi, soprattutto per i più piccoli.

Mettere la maglietta protegge dal sole: FALSO

Spesso molte mamme pensano che sia sufficiente tenere su la maglietta ai bambini in spiaggia (soprattutto se con una carnagione molto chiara) per proteggerli dagli effetti dannosi del sole. In realtà non è così.

L’unica vera protezione è allontanare i più piccoli dalla spiaggia nelle ore più calde della giornata, dalle 12 alle 15. Le fibre dei tessuti infatti non sono in grado di proteggere dai raggi solari, e lo stesso vale per i materiali con cui sono fatti i cappellini estivi (ecco perché, se si è calvi, conviene mettere la crema anche sulla testa sotto al copricapo!)

Una crema vale l’altra: FALSO

Spesso quando ci destreggiamo tra gli scaffali del supermercato alla ricerca della crema solare per un’abbronzatura perfetta, sono due gli elementi che prendiamo in considerazione: il formato e il fattore di protezione SPF.

Per quanto riguarda il formato, è importante sapere che non tutti sono uguali. Meglio optare per il formato spray, sicuramente più pratico e facile da applicare, e penetra meglio anche con i peli. Inoltre il dispenser non lascia passare nulla (cosa che avviene invece con le creme o gli stick) e questo riduce di molto il rischio di contaminazione batterica.

In merito ai filtri solari invece ne esistono di due tipi, quelli fisici e quelli chimici. I filtri solari fisici (o inorganici) sono da preferire perché hanno proprietà schermanti, per cui riflettono i raggi solari proprio come degli specchi.

I filtri solari chimici, al contrario, catturano l’energia delle radiazioni UV trattenendo il calore.

La protezione 50 solo sui NEI, e solo i primi giorni: FALSO

Che sia importante proteggere i nei durante l’esposizione al sole è fuori da ogni dubbio, ma la protezione non dovrebbe limitarsi solo ed esclusivamente ad alcune aree.

Il rischio di melanoma è infatti del 30% su un neo già esistente e del 70% su altre aree del corpo. 

È importante anche riapplicare la crema ogni due ore. Dopo tre ore infatti l’SPF si dimezza, così come dopo il bagno al mare, per questo è meglio partire da un fattore di protezione molto alto. Dopo la seconda settimana di esposizione ai raggi solari è possibile ridurre di un po’ la frequenza. 

Ho la pelle scura, la crema non mi serve: FALSO

Non è vero che chi diventa subito scuro non soffre il sole. Il sole aumenta il rischio di melanoma, il tumore più aggressivo, invecchia la pelle e provoca le rughe. Di conseguenza, forse l’abbronzatura non è proprio sinonimo di salute. 

Il betacarotene fa bene alla pelle: FALSO

Il betacarotene aumenta la produzione di melanina, ma non protegge dal rischio dei raggi solari e può essere cancerogeno. Molto meglio assumere sostanze a base di licopene o Polypodium Leucotomos, che prevengono i danni causati dagli eritemi e dall’invecchiamento. La melanina che dà alla pelle il classico colore ambrato in realtà è solo un modo per riparare i danni.

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IL DOTT. TITLI STEFANO, dermatologo effettua indagini col dermoscopio in epiluminescenza utile nell’identificazione diagnostica precoce delle patologie oncologiche (come i melanomi)

 

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l'Ossigeno Terapia è un  trattamento estetico non invasivo che garantisce risultati immediati.  L'Ossigeno terapia è adatta per risolvere problemi di acne, psoriasi, dermatite seborroica e cicatrici da ferite. Il Trattamento più adeguato verrà deciso insieme al consulente. L

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Obesità, le regole per batterla sin da bambini

Ecco i consigli della pediatra per trasmettere ai figli un buon rapporto con il cibo

Scende in Italia il tasso di obesità infantile, ma ancora non abbastanza.

Colpa soprattutto di cattive abitudini instaurate nei primi anni di vita dei bambini.

I dati rilevati nel 2016 sui bambini tra i 6 e i 10 anni segnalano un miglioramento delle percentuali di bambini in sovrappeso ed afflitti da obesità, più precisamente i bambini obesi sono scesi dal 12% al 9.3%, quelli in sovrappeso dal 23,2 % al 21,3% nel periodo compreso dal 2008 al 2016. Un dato che però non ci fa uscire ancora dalle nazioni europee con il maggior tasso di obesità infantile.

Bisogna lavorarci ancora perché i bambini che presentano queste patologie diventeranno per la maggior parte degli adulti affetti da patologie:

  • cardiocircolatorie,
  • diabete,
  • patologie ortopediche e
  • degenerative.


Determinanti sono le abitudini alimentari che si instaurano nei primi anni di vita da parte dei genitori.

ALLATTAMENTO E SVEZZAMENTO


L’allattamento al seno esclusivo fino al V-VI mese offre un alimento biologicamente prezioso ed equilibrato di nutrienti, quando non possibile allattare, il latte di formula non deve essere arricchito di biscotti.


Lo svezzamento, sostituzione di un pasto di latte con la pappa, deve fornire al bambino nuovi nutrienti,

  • cibi naturali e freschi,
  • verdure e frutta di stagione,
  • legumi 3-4 volte la settimana;
  • le proteine (carne bianca-pesce-uova-formaggio) sono indispensabili per una buona crescita, ma devono essere presenti in una quantità controllata,
  • il grasso di condimento deve essere un buon olio extravergine di oliva.


Dal punto di vista delle abitudini alimentari ed anche del comportamento sociale che è legato al mangiare, i genitori intorno all’anno di vita del loro piccolo si trovano ad affrontare una tappa di passaggio molto importante: il lattante a questa età ha ormai triplicato il peso della nascita ed ha acquisito fierezza e volontà di scegliere lui ciò che desidera.

Ciò comporta che il ritmo di crescita subisce un significativo rallentamento (non cresce più mensilmente in modo regolare) per cui il bambino non consuma più 4 pasti completi al giorno e comincia a divenire selettivo nella scelta dei cibi, a cicli si appassiona a certi alimenti e ne rifiuta altri che pure ha sempre mangiato.


Se il genitore non viene preparato dal pediatra a questo importante cambiamento comincia a preoccuparsi per la salute del figlio e, per l’ansia che non cresca a sufficienza, inizia a mettere in atto strategie di ogni tipo per convincerlo a mangiare: giochi a tavola, uso di tablet e tv, inseguimenti per la casa, promesse di premi o dolci…

Il danno è molteplice:

  • il bambino mangia più di quanto ha bisogno,
  • impara a non prestare attenzione al cibo,
  • ma soprattutto apprende che il mangiare è un valore in sé,
  • che il cibo è uno strumento per fare felici i genitori, per sentirsi approvato e, non ultimo e meno importante, per ottenere attenzione, vantaggi e oggetti.

Non sottovalutiamo quanto questi meccanismi diventino per il bambino veri e propri schemi cognitivi strutturati che saranno determinanti nella età adulta sia nell’uso del cibo come compensazione affettiva sia per l’insorgenza di disturbi legati all’alimentazione (obesità, bulimia e anoressia).

Le regole anti-obesità per un approccio sano al cibo

*  Tenere la regola che si mangia ad orari regolari, 4 volte al giorno, non fuori pasto anche quando si è mangiato poco al pasto precedente (se mai anticipare il pasto successivo)


Offrire cibi sani, naturali, freschi e non fare sostituzioni di bassa qualità (come proporre il succo di frutta al posto della frutta)

Non insistere quando il bambino dice basta o a un pasto si rifiuta di mangiare

Mangiare in compagnia del bambino parlando con lui e non offrendo giochi, tv…

Rispettare le sue “passioni” alimentari cicliche, per due mesi solo pasta al pesto, poi tra i cibi proteici rifiuto della carne …: l’offerta di alimenti ai nostri bambini è talmente ricca e varia che mai vanno in carenza di nutrienti

Non usare il cibo come strumento di ricatto o punizione o gratificazione : se mangi o non mangi, sei buono o cattivo, ti compriamo…

Solo dopo qualche giorno di totale digiuno (a tutti pasti, per tutti alimenti!) fare visitare il bambino dal pediatra per cercare un motivo di salute

L'IMPORTANZA DEL MOVIMENTO


il movimento è indispensabile per la salute, il nostro corpo è dotato di centinaia di muscoli che se utilizzati ci fanno stare bene, tengono lontani i dolori, sono un naturale meccanismo di regolazione delle energie che assumiamo con il cibo e quindi di difesa contro l’obesità.
Soprattutto nelle città per i bambini non è quasi più possibile giocare spontaneamente all’aperto (strade impraticabili, spazi inesistenti o ridotti, cortili scomparsi), tuttavia i genitori possono fare meglio per la salute, la felicità e l’intelligenza dei loro bambini non dimenticando che nei primi tre anni di vita il cervello si sviluppa in stretto rapporto al movimento che il bambino fa:

  • limitare la vita sedentaria con la seduzione di attività cosiddette tecnologiche (schermi, tv, tablet, videogiochi),
  • limitare uso del passeggino (dopo i due anni andrebbe eliminato, si vedono troppi bambini trattati come invalidi),
  • stare all’aperto anche in inverno facendo movimento (non è l'aria fredda che porta infezioni, ma contagio inter-umano nei luoghi chiusi).

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In considerazione delle molteplici domande riguardanti il COVID-19 pervenute al Forum messo a disposizione dei pazienti dalla Società Europea di Cardiologia (The ESC Patient Forum), è stato realizzato questo documento che racchiude utili raccomandazioni delle autorità internazionali e delle associazioni scientifiche.

Le domande riguardanti la tua terapia devono essere rivolte al tuo medico.

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ECCO IL PDF DEL DOCUMENTO IN QUESTIONE:

risposte-a-pazienti-cardiopatici-durante-la-pademia.pdf

 

 

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OSTEOPOROSI

Si parla di Osteoporosi quando si diagnostica una condizione di aumento della porosità delle ossa e la conseguente della diminuzione della loro densità.

Si tratta di una vera e propria malattia che indebolisce le ossa e chi ne è affetto corre un rischio maggiore di fratture ossee, anche quando il trauma è di scarso rilievo, o in seguito a un brusco movimento.

Una malattia silente.

Molte persone non sono consapevoli di soffrirne fino a quando le ossa indebolite non si rompono. La maggior parte di questi traumi sono fratture

  • dell’anca
  • del polso 
  • della colonna vertebrale

Chi può colpire l’osteoporosi?

Circa 200 milioni di persone in tutto il mondo hanno l’osteoporosi.

L’osteoporosi è responsabile di oltre due milioni di fratture ogni anno.

Si manifesta sia negli uomini che nelle donne, ma queste hanno una probabilità quattro volte maggiore di sviluppare la malattia.

Le persone a maggior rischio sono

  • le più anziane
  • quelle con corporatura ridotta
  • chi usa steroidi
  • chi ha malattie intestinali
  • chi ha subito trapianti di organi 
  • chi ha disturbi renali
  • chi fa uso di fumo e alcol 
  • chi conduce una vita sedentaria

* il 30% della popolazione soffre di osteopenia = una condizione dove comunque la densità ossea risulta comunque ridotta

Quali sono le cause dell’osteoporosi?

Le ossa sono fatte di tessuto vivo e in costante ricambio attraverso il processo che si chiama rimodellamento osseo.

L’interno dell’osso ha un aspetto simile a quello di una spugna. Questa zona interna è chiamata osso trabecolare ed è circondata da un guscio esterno di osso duro, chiamato osso corticale.

Fino all’età di circa 25-30 anni, produciamo più massa ossea di quante ne perdiamo: questo fa sì che le ossa si accrescano e si irrobustiscano.

Dopo i 40 anni la tendenza inizia ad invertirsi e, con il tempo, un progressivo indebolimento dell’osso diventa fisiologico.

Nelle donne dopo la menopausa e con l’avanzare degli anni anche negli uomini, le cavità nell’osso trabecolare (la “spugna”) diventano più grandi e numerose: quando questo indebolimento raggiunge livelli patologici, abbiamo l’osteoporosi, una condizione in cui il tessuto osseo diventa estremamente friabile e fragile.

La base del tessuto osseo è composta di un cristallo di calcio e fosfato, l’idrossiapatite: un apporto adeguato di questi minerali è indispensabile per la costruzione e il mantenimento di ossa forti.

Chi non assume calcio a sufficienza, soprattutto nell’età della crescita, avrà costruito ossa più deboli e quindi più soggette a diventare presto fragili.

Le ossa inoltre rappresentano un deposito di calcio per l’organismo: quando il calcio circolante nel sangue è troppo basso, l’organismo va a prelevarlo proprio dalle ossa, indebolendole: ecco perché condizioni femminili fisiologiche, come la gravidanza e l’allattamento, sono momenti delicati per la salute delle ossa di madre e figlio.

Quali sono i sintomi dell’osteoporosi?

Di solito, l’osteoporosi non dà sintomi. Per questo occorre prestare estrema attenzione ai seguenti segnali di allarme:

  • Fratture ossee che possono essere causate da cadute non rovinose, da urti di poca importanza o intervenire spontaneamente (in questo caso sono indicate come fratture da fragilità);
  • Cambiamento di postura (assunzione di una posizione curva in avanti, il cosiddetto gibbo o cifosi);
  • Difficoltà a respirare (minore capacità polmonare a causa di dischi vertebrali compressi);
  • Dolore alla parte centrale o bassa della schiena;
  • Perdita di altezza (la riduzione della statura di 3/4 cm o più è indice di frattura vertebrale);

Quali sono i fattori di rischio per lo sviluppo dell’osteoporosi?

Esistono molti fattori di rischio che aumentano le possibilità di sviluppare l’osteoporosi, due dei quali più significativi sono il sesso e l’età.

Il rischio per tutti di fratture da osteoporosi aumenta con l’età.

Le donne in postmenopausa (o che non hanno il ciclo, per esempio a causa dell’asportazione chirurgica delle ovaie) hanno un rischio maggiore di sviluppare l’osteoporosi. Infatti la menopausa rallenta la produzione di estrogeni, ormoni che proteggono dall’eccessiva perdita ossea nei primi 10 anni dopo l’ingresso in menopausa.

L’osteoporosi però colpisce anche gli uomini. Può sorprendere sapere che gli uomini di età superiore ai 50 anni hanno maggiori probabilità di avere una rottura ossea indotta dall’osteoporosi che di contrarre il cancro alla prostata.

Un altro fattore di rischio è legato alla struttura ossea e al peso corporeo. Le persone piccole e magre hanno un rischio maggiore di sviluppare l’osteoporosi perché hanno meno tessuto osseo da perdere rispetto alle persone con più peso corporeo e strutture più grandi.

Anche la storia familiare gioca un ruolo nel rischio di osteoporosi. Chi ha avuto una storia di osteoporosi in famiglia, come genitori o nonni con un’anca fratturata dopo una caduta non rovinosa, può avere un rischio maggiore di sviluppare l’osteoporosi.

Infine, alcune patologie e l’utilizzo prolungato di alcuni farmaci aumentano il rischio di fratturarsi per fragilità:

  • Terapia soppressiva con ormoni tiroidei, terapia con corticosteroidi, terapia con anticonvulsivanti;
  • Storia di chirurgia bariatrica (perdita di peso)
  • Trapianti di organi
  • Trattamento di blocco ormonale per cancro al seno o alla prostata o lunghi periodi di amenorrea.
  • Celiachia o malattie infiammatorie intestinali.
  • Malattie del sangue come il mieloma multiplo.
  • Chemioterapia e radioterapia per ogni tipo di tumore

Chi si riconosca in una o più delle precedenti condizioni, anche se in giovane età, non è detto che debba necessariamente sviluppare l’osteoporosi, ma farebbe bene, d’accordo con il proprio medico, a prendere in considerazione uno screening metabolico e densitometrico precoce per l’osteoporosi.

 

Esistono poi alcuni fattori che aumentano il rischio di osteoporosi sui quali è possibile intervenire:

  • Abitudini alimentari: è più probabile che si sviluppi l’osteoporosi se il corpo non ha abbastanza calcio e vitamina D. Sebbene disturbi alimentari come la bulimia o l’anoressia siano fattori di rischio, possono essere trattati.
  • Stile di vita: le persone che conducono stili di vita inattivi hanno un rischio maggiore di osteoporosi. Ma l’attività fisica può essere implementata.
  • Uso del tabacco: il fumo aumenta il rischio di fratture.
  • Consumo di alcol: bere due o più drink al giorno aumenta il rischio di osteoporosi.

Come viene diagnosticata l’osteoporosi?

Il medico può ordinare un test per darti informazioni sulla salute delle ossa prima che si manifestino i problemi.

In questo caso, la Mineralometria Ossea Computerizzata (MOC) è il procedimento di elezione.

L’esecuzione di questi esami a scadenza regolare potrà mettere in luce una condizione di osteopenia (diminuzione della massa ossea) quando ancora l’osteoporosi è lontana, dando la possibilità di intervenire con variazioni allo stile di vita o, se occorre, con terapie mirate.

 

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L'esame dell'iride consente di capire lo stato di salute delle persone, i vari distrubi che possono esservi e la predisposizione a problematiche come ansia, stress, ipersensibilità al dolore. La visita consiste in un'attenta osservazione dell'iride attraverso un microscopio oculistico con durata variabile.

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MENOPAUSA: COME VIVERLA SERENAMENTE?

Per noi donne la menopausa è un processo assolutamente naturale. In Italia le donne in menopausa sono circa 10 milioni e, nonostante ciò, constato con stupore che il tema viene affrontato sempre con un po’ di timidezza, quasi con vergogna. Come se fosse un tabù. Credo sia tempo che le cose cambino.

 IL CAMBIAMENTO E' INEVITABILE

Prima o poi ogni donna attraversa questa fase naturale di cambiamento. Chi prima, chi dopo. Il numero di ovuli, infatti, è già prestabilito fin dalla nascita. Solitamente le ovaie iniziano a ridurre la produzione di ormoni femminili verso i 45-55 anni, il livello di estrogeno diminuisce.

I principali cambiamenti nei livelli ormonali si manifestano in misura differente.

Due terzi di noi donne si trovano a dover affrontare pesanti effetti negativi, sia sotto il profilo fisco che emotivo.

Un terzo ha la fortuna di avere solo sintomi lievi.

 

IL CICLO MESTRUALE IMPAZZISCE

In alcuni casi le mestruazioni si bloccano per mesi, per poi arrivare di nuovo all’improvviso. E a volte così intense da condizionare la voglia di uscire di casa.

Ci si accorge di "entrare in menopausa” quando arrivano anche lievie vertigini e problemi circolatori.

Spaventano soprattutto gli effetti negativi che diventano sempre più fastidiosi come vampate di calore e la sudorazione.

Di notte ci si può svegliare senza motivo e non riuscire a riprendere sonno.

La capacità di concentrazione non era più la stessa di un tempo.

Di solito si decide a questo punto di prendere un appuntamento dalla ginecologa.

 

SEMPRE CON TRANQUILLITA'

E’ importante che il ginecologo prescriva farmaci solo se assolutamente necessario.

“I cambiamenti ormonali sono solo un aspetto della menopausa. Non devono essere ignorati, ma non dobbiamo neanche focalizzarci su di essi”.

Sapere che in alcune culture non esistono le parole “menopausa” o “vampate di calore” fa riflettere su certi atteggiamenti e sul fatto che, erroneamente, si vive una fase di cambiamento naturale come una terribile malattia.

La somministrazione di combinazioni estro-progestiniche a prima vista potrebbe apparire sensata.. ma numerosi studi dimostrano che la terapia sostitutiva è anche collegata ad un maggiore rischio di ammalarsi di cancro al seno e all’utero.

Vi sono alternative alla TOS per alleviare i sintomi: l’iperico e l’agnocasto, il trifoglio rosso e la cimicifuga racemosa e anche gli estratti di radice di rabarbaro e le cure con il latte di soia.

 

E' QUESTIONE DI TESTA

In ogni caso fa bene rafforzare il corpo e la mente simultaneamente su più livelli.

  • Per contrastare l’osteoporosi pratica attività fisica moderata.
  • Ogni giorno fai degli esercizi di rilassamento
  • Cerca di fare regolarmente piccole passeggiate in mezzo alla natura
  • Acquisisci una consapevolezza alimentare.

Oltre a ciò, si possono prendere integratori alimentare a base di aminoacidi, per coprire il fabbisogno giornaliero di sostanze nutritive. Contiene anche i fitormoni del luppolo, aiutano ad armonizzare il bilancio ormonale senza aumentare il rischio di cancro e senza altri effetti collaterali.

 

 

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La demenza senile consiste nella presenza di danni al cervello causati dalla mancata comunicazione tra cellule che modificano comportamenti, pensieri e facoltà intellettive.

Per diagnosticare la malattia il medico esegue un esame obiettivo su cambiamenti di pensiero e di attività quotidiane e analisi di laboratorio.

Demenza senile è il termine medico che indica un gruppo di malattie neurodegenerative dell'encefalo, tipiche dell'età avanzata e caratterizzate da una riduzione graduale - e quasi sempre irreversibile - delle facoltà cognitive di una persona.
La demenza senile rientra nella più ampia categoria delle demenze.
Le demenze sono patologie neurodegenerative dell'encefalo, che possono colpire persone anziane e persone più giovani, e che determinano un progressivo declino delle facoltà cognitive di un individuo.

COSA NON È?

I medici tengono a precisare che, nonostante determinino manifestazioni molto simili, la demenza senile e il cosiddetto declino cognitivo legato all'età avanzata sono due condizioni mediche differenti.
Infatti, il declino cognitivo legato all'età avanzata – noto anche come deterioramento cognitivo dell'età avanzata – è un normale processo involutivo a cui va incontro il cervello, durante l'invecchiamento.
Tale processo involutivo comporta: una graduale riduzione del volume cerebrale, la perdita di diversi neuroni e un'inefficiente trasmissione dei segnali nervosi.

TIPI DI DEMENZA SENILE

Le principali malattie neurodegenerative dell'encefalo, che fanno capo alla voce "demenza senile", sono:

  • Il morbo di Alzheimer o malattia di Alzheimer. Il morbo di Alzheimer può colpire anche adulti giovani, trentenni. In questi frangenti, la malattia è nota come Alzheimer giovanile, ha probabilmente cause di tipo genetico e non rientra tra le forme di demenza senile.
    La demenza vascolare
  • La demenza a corpi di Lewy.

In Italia, le persone con una forma di demenza sono circa l'1,5% della popolazione sopra i 65 anni e più del 30% della popolazione sopra gli 80 anni.

 

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Tratto da http://www.my-personaltrainer.it/salute-benessere/demenza-senile.html

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Ansia e depressione nemiche del cervello

Lo studio, dal titolo "Problemi affettivi e declino dello stato cognitivo negli anziani", è stato pubblicato dalla rivista specializzata “Psychological Medicine”.

Secondo gli esperti, la ricerca fornirebbe per la prima volta una prova completa della correlazione tra depressione e declino della funzione cognitiva su un campione di partecipanti appartenenti alla popolazione generale (di tutte le età).

Per effettuare lo studio, i ricercatori hanno operato una revisione sistematica di 34 ricerche cliniche precedentemente condotte su oltre 71mila persone. Tra queste vi erano inclusi soggetti che presentavano sintomi di depressione e quelli ai quali era stato diagnosticato un vero e proprio stato depressivo.

Lo studio ha osservato il tasso di declino dello stato cognitivo globale negli anziani partendo da elementi come:

  • la perdita di memoria,
  • la funzione esecutiva (come il processo decisionale) 
  • la velocità di elaborazione delle informazioni.

Dallo studio sono stati esclusi i dati riguardanti i partecipanti a cui la demenza senile era stata diagnosticata fin dall'inizio delle diverse ricerche. Un modo, questo, per per valutare l'impatto della depressione sull'invecchiamento cognitivo nella popolazione generale.

I risultati hanno rilevato che le persone affette da depressione avevano subito un declino cognitivo maggiore durante l'età adulta avanzata, rispetto a quelle non depresse.

Poiché esiste un lungo periodo pre-clinico di diversi decenni prima che la demenza possa essere diagnosticata, i risultati sono importanti per gli interventi precoci di prevenzione e rallentamento della malattia, dato che attualmente non esiste una cura.

Un problema diffuso

Gli autori principali dello studio, Darya Gaysina e Amber John del Laboratorio EDGE (Ambiente, Sviluppo, Genetica ed Epigenetica in Psicologia e Psichiatria) dell'Università del Sussex, hanno invitato a una maggiore consapevolezza rispetto all'importanza di sostenere la salute mentale per proteggere l'integrità del cervello in età avanzata.

Per la professoressa Gaysina “questo studio è di grande importanza dal momento che le nostre popolazioni stanno invecchiando a un ritmo rapido e il numero di persone che vivono affette da demenza e da capacità cognitive decrescenti è destinato ad aumentare in modo sostanziale nei prossimi trent'anni”.

La chiamata è ai governi nazionali affinché venga avviata una ricerca seria sui problemi di salute mentale per proteggere il benessere psicologico degli anziani e fornire solidi servizi di supporto a chi soffre di depressione e ansia per salvaguardare le funzioni cerebrali in età avanzata.

La depressione è un problema di salute mentale comune.

Ogni anno  almeno una persona su 5 nel Regno Unito presenta dei sintomi chiari”.

I pazienti affetti da depressione possono essere salvati dal declino cognitivo grazie all'adozione di misure preventive come i trattamenti terapeutici raccomandati, la terapia cognitiva comportamentale, e altre terapie che hanno dimostrato di essere molto utili in questi casi.

 

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L'ecografia delle anche è un esame non invasivo, ma particolarmente importante, per diagnosticare precocemente la displasia dell'anca del neonato, ossia un'incongruenza tra coscia e bacino che porterebbe ad uno spostamento del femore e causare zoppia. L'ecografia viene effettuata sia ai bambini di sesso femminile che maschile e il periodo migliore è tra 2 e 3 mesi. In caso di displasia è opportuno rivolgersi ad un ortopedico che potrà optare per una terapia posturale o per l'utilizzo di un divaricatore per riposizionare correttamente l'osso del femore.

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La visita senologica consente di diagnosticare o escludere la presenza di eventuali patologie della mammella e consiste in una prima anamnesi della paziente, dove si valutano le abitudini quotidiane. Si passa poi ad un'attenta osservazione e palpazione della mammella. In caso di sospetto si proce con la prescrizione di ecografia mammaria, mammografia e biopsia.

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DISTURBI PSICOSOMATICI dipendono principalmente dalle emozioni

COSA SONO I DISTURBI PSICOSOMATICI?

Il disturbo psicosomatico è la risposta fisica ad un disagio psicologico.

In particolare, situazioni di

  • stress emotivo
  • ansia patologica
  • paura costante 
  • forte preoccupazione

possono portare il fisico ad esprimere un disagio più profondo.

Comprendere cosa c’è all’origine di un malessere è indispensabile per poter guarire.

I sintomi psicosomatici che interessano varie regioni del corpo

+ gastro-intestinali: vomito, diarrea, dolore al colon, dolore allo stomaco, nausea, meteorismo.

+ neurologici: perdita dell'equilibrio, mobilità limitata, svenimenti, paralisi, afonia.

+ sessuali: irregolarità del ciclo mestruale, disfunzione erettile.

Tali dolori se trascurati o sottovalutati diventano cronici, come il mal di testa o le tensioni a livello del collo. Questo perché

il corpo e la mente sono davvero

LA MENTE e IL CORPO COME UNICA ENTITA'

Un’unica entità che esprime e modella se stessa in rapporto con l’ambiente che la circonda.

Lo stress sociale e psicologico può scatenare o aggravare molte patologie e disturbi, come diabete mellito, ipertensione arteriosa e cefalea emicranica.

L'apparato digerente è profondamente controllato dalla mente (cervello) e gli stati d'ansia, la depressione e la paura ne compromettono notevolmente la funzione.

In disequilibrio possono derivare modificazioni ormonali che conducono a vari tipi di problemi clinici: dall’invecchiamento precoce a quei quadri cronici di tipo infiammatorio e immunitario che sostengono la maggior parte dei disturbi psicosomatici.

Le condizioni psicologiche cambiano a seconda di come ciascuno predispone le risposte comportamentali alle proprie emozioni e, il livello di esposizione allo stress psicosociale.

Quali sono i disturbi psicosomatici

I disturbi psicosomatici si presentano a carico di tutti gli organi e apparati, quindi si può sospettarne davvero l’esistenza quando i fattori psicologici e il comportamento hanno un peso importante in rapporto alla condizione clinica.

  • l’apparato gastrointestinale (gastrite, colite ulcerosa, ulcera peptica, colon irritabile)
  • l’apparato cardiocircolatorio (tachicardia, aritmie, cardiopatia ischemica, ipertensione arteriosa)
  • l’apparato respiratorio (asma bronchiale)
  • l’apparato urogenitale (dolori mestruali, impotenza, eiaculazione precoce o anorgasmia, enuresi)
  • la cute (la psoriasi, l’acne, la dermatite atopica, il prurito, l’orticaria, la secchezza delle mucose, la sudorazione)
  • il sistema muscolo-scheletrico (cefalea tensiva, crampi muscolari, torcicollo, mialgia e fibromialgia, artrite, dolori rachidei).

SI POSSONO TRATTARE?

Di solito ci si concentra sul sintomo fisico, ma per una diagnosi ottimale bisogna far convergere di diverse competenze specialistiche, che saranno coordinate.


Dal punto di vista psicologico si possono individuare due principali livelli di intervento: farmacologico e psicoterapeutico

L’intervento farmacologico comprende la prescrizione e il successivo regolare monitoraggio di un farmaco da parte di uno psichiatra.
L’intervento psicoterapeutico, attraverso il modello psicodinamico (che privilegia la sfera soggettiva assieme alle componenti inconsce del disturbo e il modello cognitivo-comportamentale (che si concentra sulle componenti attuali del disturbo).

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Chi è l'Ortopedico?

L'ortopedico è il medico specializzato in ortopedia, che cura la salute dell'apparato muscolo-scheletrico (o apparato locomotore).

L'ortopedico è in possesso di numerose competenze:

• conosce approfonditamente l'anatomia e la fisiologia di:

ossa, cartilagini, articolazioni, legamenti, muscoli e tendini

• sa riconoscere e trattare le patologie che colpiscono l'apparato locomotore (fratture ossee, artrosi ecc.);

• è un esperto di prevenzione delle sofferenze a carico dell'apparato muscolo-scheletrico;

 

Competenze

Le competenze dell'ortopedico riguardano:

  • L'anatomia e la fisiologia di ossa, cartilagini, articolazioni, legamenti, muscoli e tendini, in altre parole dell'apparato locomotore.
  • Gli infortuni e le malattie a carico dell'apparato locomotore, e i meccanismi fisiopatologici che sono alla base delle suddette condizioni (per meccanismi fisiopatologici s'intendono i processi che sostengono una determinata malattia).
  • I metodi d'indagine utili alla diagnosi delle condizioni patologiche che possono colpire l'apparato locomotore.
  • Le terapie conservative e/o chirurgiche da adottare in presenza di infortuni o malattie dell'apparato muscolo-scheletrico.
  • Il percorso di riabilitazione utile alla ripresa da infortuni o malattie a carico dell'apparato locomotore, o da interventi chirurgici effettuati per la cura di una delle suddette condizioni.
  • Le prevenzione delle sofferenze che possono interessare l'apparato muscolo-scheletrico.

È bene precisare che l'ortopedico è, in prima persona, un diagnosta e un terapeuta, ossia possiede la preparazione necessaria a praticare indagini utili ai fini diagnostici (es: test di valutazione manuale) e interventi chirurgici mirati (es: riparazione di un legamento).

 

Ortopedico e Fisiatra: le differenze

sono due figure mediche esperte dell’apparato locomotore, ma distinte; infatti, mentre l'ortopedico è anche un medico chirurgo, il fisiatra è soltanto un medico.

Mentre il fisiatra affronta le patologie dell'apparato locomotore servendosi esclusivamente di trattamenti conservativi, l'ortopedico può gestire le affezioni dell'apparato muscolo-scheletrico anche attraverso cure chirurgiche, che effettua in prima persona.

 

Diagnostica

Per formulare una diagnosi, l'ortopedico comincia sempre da:

  • la raccolta dei sintomi,
  • l'anamnesi (o storia clinica) e
  • l'esame obiettivo (o esame fisico)

Dopodiché, a seconda delle circostanze, potrebbe prescrivere:

  • Esami di imaging, quali l'ecografia muscolo-scheletrica, i raggi X, la risonanza magnetica nucleare e/o la TAC (raro).
  • Esami di laboratorio per l'individuazione di malattie reumatiche.
  • Esami endoscopici in artroscopia (artroscopia diagnostica), effettuati dallo stesso ortopedico.

 

Cosa Cura

Quali Infortuni e Malattie Cura l'Ortopedico?

  • Le fratture ossee come le fratture composte e scomposte, le fratture stabili e instabili, le fratture semplice e pluriframmentarie, le fratture aperte e chiuse, le fratture da stress e le microfratture.
  • Gli infortuni alle articolazioni. Comprendono distorsioni e lussazioni, e si caratterizzano per danni alla capsula articolare, ai legamenti, alle cartilagini articolari e/o alle componenti ossee coinvolte nell'articolazione sofferente.

In genere, i fenomeni distorsivi riguardano l'articolazione del ginocchio e della caviglia

I fenomeni di lussazione invece interessano prevalentemente l'articolazione della spalla dell'anca e del gomito.

  • Le borsiti. "Borsite" ossia l'infiammazione di una borsa sinoviale; le borse sinoviali si trovano ad es tra muscolo e muscolo o tra un tendine e un osso e agiscono da cuscinetti anti-attrito.
  • Le tendinopatie: la tendinite, la tendinosi, l'entesopatia, la tenosinovite stenosante e gli episodi di lacerazione tendinea.
  • Gli infortuni muscolari. Dal meno grave al più grave, includono la contrattura (semplice aumento del tono muscolare), lo stiramento (alterazione del tono muscolare, senza però lesioni delle fibre) e lo strappo (lesione di un gruppo di fibre muscolari).
  • Le deformità della colonna vertebrale. Esempi importanti sono la scoliosi, l'ipercifosi e l'iperlordosi.
  • Le deformità degli arti. Tra le deformità degli arti:
  1. valgismo (es alluce valgo, ginocchio valgo, coxa valga e cubito valgo) e
  2. varismo: alluce varo, ginocchio varo, coxa vara e cubito varo),
  3. piede piatto
  4. la dismetria degli arti inferiori (diversa lunghezza tra un arto inferiore e l'altro).
  • Le sindromi da compressione nervosa caratterizzate dallo schiacciamento di un nervo periferico, per opera di un elemento limitrofo dell'apparato muscolo-scheletrico.
  1. la sindrome del tunnel carpale (polso),
  2. la sindrome del tunnel cubitale (gomito),
  3. la sindrome del tunnel tarsale (caviglia)
  4. la sindrome del piriforme.
  • Le discopatie, ossia le malattie dei dischi intervertebrali.
  1. ernia del disco
  2. bulging discale
  3. discopatia degenerativa.
  • L'artrosi. L'artrosi è la più comune forma di artrite e si caratterizza per una degenerazione progressiva delle cartilagini che costituiscono le articolazioni .Tipica dell'età avanzata, l'artrosi colpisce soprattutto il ginocchio (gonartrosi), le articolazioni delle mani (artrosi alle mani), le vertebre cervicali (spondilosi cervicale), l'anca (coxartrosi) e la spalla (artrosi della spalla).
  • Le forme di artrite su base reumatica. Tra queste forme di artrite, spiccano l'artrite reumatoide e la spondilite anchilosante.
  • Le malattie metaboliche delle ossa, quali osteoporosi, osteomalacia, rachitismo e malattia di Paget.
  • La miosite. È la particolare infiammazione dei muscoli del corpo, che deteriora quest'ultimi e provoca senso di debolezza (astenia), dolore muscolare (mialgia) e atrofia muscolare (riduzione della massa muscolare).
  • I tumori alle ossa. Sono le neoplasie derivanti dalla proliferazione incontrollata di una cellule del tessuto osseo o del tessuto cartilagineo; i tumori alle ossa possono essere benigni o maligni.

 

Terapie Conservative indicate dall'Ortopedico

  • Semplici rimedi naturali, come per esempio il riposo funzionale, l'applicazione di ghiaccio, la compressione della zona dolente e la sua elevazione.
  • Farmaci, quali per esempio gli antinfiammatori non steroidei (FANS) e i corticosteroidi.
  • Esercizi di fisioterapia per il miglioramento del tono muscolare e/o della propriocettività.

 

Abilità Chirurgiche dell'Ortopedico

L'ortopedico moderno possiede la preparazione necessaria a eseguire:

  • interventi in artroscopia per la riparazione di un danno articolare (es: ricostruzione del legamento crociato anteriore dopo rottura);
  • procedure di osteotomia per la correzione di una deformità ossea (es: correzione dell'alluce valgo);
  • innesti di protesi articolari al posto di articolazioni ormai usurate (es: protesi al ginocchio e protesi all'anca);
  • operazioni di fusione ossea e fusione articolare (artrodesi) per recuperare a un danno osteo-articolare non risolvibili con altre terapie (es: fusione spinale e artrosi della caviglia); interventi di fissazione interna per rimediare a una frattura ossea;
  • operazioni di sutura di un tendine o un muscolo per far fronte a episodi di lacerazione tendinea o muscolare;
  • interventi chirurgici per la rimozione di un tumore alle ossa;
  • procedure di medicina rigenerativa per la rigenerazione delle superfici cartilaginee usurate (es: trapianto di cellule mesenchimali staminali nel ginocchio).

 

Specializzazioni

Tra le possibili ultra-specializzazione a cui può aspirare il moderno ortopedico

  • L'ortopedia protesica e ricostruttiva.
  • L'ortopedia di spalla e gomito.
  • L'ortopedia di anca e ginocchio.
  • L'ortopedia di piede e caviglia.
  • L'ortopedia della colonna vertebrale.
  • L'ortopedia rigenerativa.
  • L'ortopedia pediatrica.
  • L'ortopedia oncologica.
  • L'ortopedia sportiva.

 

Quando Contattarlo

Le principali ragioni

  • Sospetta presenza di frattura ossea (le fratture ossee sono solitamente la conseguenza di traumi e causano forte dolore, associato a ematoma
  • Presenza di dolori articolari successivi a una distorsione o lussazione
  • Presenza di dolore persistente a un'articolazione non correlata a eventi distorsivi o a lussazioni
  • Presenza di dolore persistente alla schiena ( tratto cervicale e il tratto lombare)
  • Sospetto strappo muscolare
  • Presenza di dolore persistente laddove trovano inserzione importanti tendini del corpo umano.

 

Con Chi Collabora

Molto spesso, l'ortopedico collabora con altre figure professionali del settore medico

  • L'oncologo. Ortopedico e oncologo collaborano, quando devono affrontare un tumore a un elemento dell'apparato locomotore (es: tumore alle ossa).
  • Il neurologo. L'ortopedico e il neurologo lavorano assieme, quando devono fronteggiare una patologia dell'apparato muscolo-scheletrico che interferisce con la salute di alcuni nervi periferici (es: sindrome del tunnel carpale).
  • Il chirurgo pediatrico. L'ortopedico collabora con il chirurgo pediatrico, quando deve affrontare patologie dell'apparato locomotore tipiche dell'età giovanile, che richiedono la pratica chirurgica.
  • Il reumatologo. Ortopedico e reumatologo collaborano, quando devono far fronte a una malattia dell'apparato locomotore su base reumatica (es: artrite reumatoide).
  • Il geriatra. L'ortopedico e il geriatra collaborano, quando devono affrontare affezioni dell'apparato locomotore tipiche dell'anziano (es: artrosi al ginocchio).

 

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I dolori articolari sono quasi sempre riconducibili a disfunzioni della colonna vertebrale. L'Osteopata individua le cause di tali disfunzioni e li elimina con manovre dolci, indolori e rispettose del paziente. In tal modo è possibile far svanire in breve tempo il dolore e ripristinare la normale funzionalità del nostro corpo.

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Cos'è la logopedia

La logopedia è una disciplina che mira alla diagnosi e alla cura dei disturbi della comunicazione. La comunicazione è fatta di moltissime cose oltre alle parole: gesti, tempi di conversazione, intonazione della voce, costruzione della frase, scelta di alcune parole piuttosto che di altre.

Insomma comunicare non è solamente parlare, come parlare non significa necessariamente comunicare. Ad esempio, quante volte avete sentito parlare qualcuno con un’intonazione della voce così monotona da non riuscire più a seguire il discorso distraendovi?

La logopedia è proprio la scienza che studia tutto questo, o meglio è la scienza che studia la patologia che investe tutto questo; è quella che risponde alle domande: - Perché non riesco a parlare bene? - Come posso curare il mio difetto di pronuncia? - Perché balbetto? - Come posso curare il mio disturbo del linguaggio? - Perché non capisco quello che ascolto? Perchè ho la voce rauca? -  Come posso curarla? - Perché il mio bambino parla male? - Perché il mio bambino ancora non parla? - Perché il mio bambino pronuncia male alcune lettere? - Perché il mio bambino non sa leggere bene?  E a tante, tante altre domande.

Cos'è un logopedista

Un logopedista è il professionista che effettua la diagnosi e prende in carico un paziente con disturbi di linguaggio.

Il logopedista ha una laurea che lo abilita alla professione e lavora fianco a fianco a medici specialisti che gli inviano i pazienti per la riabilitazione.

Come lavora il logopedista? Per rispondere a questo quesito è necessario svelarvi tutte le fasi del suo lavoro:

  • Anamnesi: la prima cosa che fa il logopedista è raccogliere dati; l’anamnesi consiste in domande che mirano a scoprire se ci sono notizie rilevanti nel passato del paziente, nella sua storia clinica o in quella della sua famiglia. Per farvi un esempio, sapere che la mamma di un bambino ha parlato per la prima volta all’età di 4 anni può essere un indizio della presenza di familiarità per ritardo di linguaggio.
  • Test e osservazione: la diagnosi vera e propria si effettua molto spesso con la somministrazione di test che, confrontati con i dati di normalità, danno degli indici quantificabili del grado di disturbo. Tuttavia non tutti i disturbi del linguaggio prevedono l’applicazione di test, delle volte una conversazione e la semplice osservazione del bambino può fornire un quadro della situazione. L’esperienza e la preparazione del logopedista sono fondamentali. Alcune volte saranno necessarie delle consulenze da parte di figure esterne (psicologo, otorinolaringoiatra, neuropsichiatra infantile, psicomotricista, fisioterapista etc.)
  • Presa in carico: in caso di necessità, se il logopedista ritiene di dover prendere in carico il paziente sottoponendolo ad una terapia di riabilitazione farà, insieme al paziente, un piano di lavoro mirato al recupero dei disturbi. A seconda del disturbo le sedute possono variare da 1 a settimana ad un intervento quotidiano, le tempistiche sono molto variabili.
  • Test conclusivo o di controllo: durante o a fine terapia il logopedista effettua nuovamente l’eventuale test per monitorare il miglioramento della situazione. È d’obbligo fare un appunto: il logopedista generalmente stila una vera e propria relazione sulla condizione del paziente, la sua decisione di effettuare da 1 a 5 sedute a settimana non dipende dalla patologia, ma molto più dal paziente. Supponendo di avere due bambini con ritardo del linguaggio, dove entrambi semplicemente hanno difficoltà a pronunciare “la lettera S” (che nel nostro gergo si chiama fonema), potrebbero avere bisogno di tempi diversi e di approcci diversi perché fondamentalmente sono bambini diversi. Troppo spesso ci si paragona ad altre situazioni cliniche non dimenticando che siamo tutti casi a sé stanti!

 

LE NOSTRE LOGOPEDISTE:

http://www.poliambulatorioes.it/38/specialita/logopedia

 

Ecco le principali tecniche utilizzate per riabilitare il pavimento pelvico.

Chinesiterapia

La chinesiterapia, o cinesiterapia, consiste nell’utilizzo del movimento a scopo terapeutico.

Attraverso la mobilizzazione, l’esecuzione di movimenti ripetuti e il mantenimento di posizioni si cerca di recuperare l’arco di movimento di un’articolazione e la lunghezza e la forza di un muscolo.

Nella riabilitazione del pavimento pelvico, quando si parla di chinesiterapia ci si riferisce soprattutto agli esercizi di contrazione e rilassamento del pavimento pelvico.

Sono conosciuti come “esercizi di Kegel” dal nome del ginecologo statunitense che che per primo riconobbe l’importanza dell’allenamento di questi muscoli, Arnold Kegel (1894 – 1972).

Essendo muscoli che si trovano all’interno del nostro corpo sono difficili da individuare e da attivare correttamente.

Uno dei ruoli fondamentali della chinesiterapia è quello di favorire la presa di coscienza di questi muscoli attraverso la palpazione del terapista e la scelta di posizioni che ne facilitino l’attivazione.

Tuttavia, quando si tratta una persona che soffre di una disfunzione del pavimento pelvico non ci si può limitare alla valutazione e al trattamento di questi muscoli.

Dati gli stretti rapporti che intercorrono tra il pavimento pelvico e le strutture che circondano la cavità addominale, andranno indagate, valutate e trattate anche eventuali alterazioni del rachide lombare, del cingolo pelvico, degli arti inferiori, dei muscoli addominali e del muscolo diaframma.

La chinesiterapia quindi assume un ruolo fondamentale nella riabilitazione del pavimento pelvico in quanto favorisce la corretta attivazione dei muscoli perineali e corregge le disfunzioni a carico delle strutture a questi correlate.

Biofeedback

Il biofeedback è una tecnica di trattamento che utilizza la rilevazione di parametri fisiologici al fine di rendere consapevole la persona di un processo che avviene a sua insaputa e che può porre sotto il controllo volontario.

Nella riabilitazione del pavimento pelvico il biofeedback consiste in un dispositivo collegato ad una sonda, anale o vaginale, che ci fornisce in tempo realeinformazionisull’esecuzione della contrazione perineale.

La contrazione perinealeviene tradotta in un segnale visivo, sonoro o meccanico che ci permette di capire se stiamo attivando correttamente i muscoli del pavimento pelvico, per quanto tempo riesco a contrarli e con quanta forza.

Grazie all’informazione di ritorno fornita dal biofeedback, è possibile imparare a riconoscere, correggere e prevenire le alterazioni fisiologiche e quindi facilitare l’apprendimento e la coscientizzazione del processo involontario, che in questo caso è rappresentato dalla contrazione e dal rilassamento della muscolatura perineale.

Infine, questo serve a facilitare l’automatizzazione della funzione appresa per inserirla in attività e gesti della vita quotidiana, ovvero far sì i muscoli del pavimento pelvico si contraggano preventivamente durante gli sforzi per evitare le perdite o si rilassino per facilitare la minzione e la defecazione.

Elettrostimolazione

L’elettrostimolazione consiste nell’applicazione di corrente elettrica attraverso elettrodi adesivi di superficie o attraverso sonde vaginali o anali.

L’intensità della stimolazione è regolabile a secondo della tolleranza del soggetto.

Si utilizza per varie ragioni:

  • per favorire la presa di coscienza dei muscoli perineali e favorirne l’attivazione.
  • per inibire lo stimolo d’urgenza. Sebbene non si conosca il meccanismo d’azione, si pensa che attraverso la stimolazione periferica delle radici nervose dei nervi che controllano la vescica, lo sfintere uretrale, il retto e lo sfintere anale si possa indurre una modificazione a livello centrale, nella corteccia cerebrale e quindi ristabilire un corretto meccanismo di trasmissione nervosa dello stimolo.

 

PER SAPERNE DI PIU' SUL NOSTRO SERVIZIO DI RIABILITAZIONE DEL PAVIMENTO PELVICO

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Cosa sono le Apnee Notturne?

La sindrome delle apnee notturne, la cui definizione medica è Sindrome delle Apnee Ostruttive del Sonno (Obstructive Sleep Apnea Syndrome - OSAS), è una patologia cronica molto diffusa che comporta ripetute interruzioni dell’attività respiratoria durante il sonno.

Tali interruzioni causano il risveglio frequente del soggetto che ne è affetto. Sebbene questi risvegli durino poco (talvolta solo 2 o 3 secondi) e una persona in genere non li ricordi nemmeno il mattino seguente, essi si possono presentare anche centinaia di volte in una notte, impedendo al paziente di riposare adeguatamente.

Le Cause

A questo punto vi starete chiedendo: quali sono le cause di questa patologia? In realtà, non ci sono delle vere e proprie “cause”, ma piuttosto dei fattori che possono contribuire al restringimento delle vie aeree superiori, causando apnee notturne. Tra questi, troviamo:

  • l’aumento significativo di peso
  • il consumo di alcool
  • l’abitudine al fumo
  • l’uso di farmaci e/o rilassanti che inducano il sonno

I sintomi

Il paziente affetto da apnee notturne presenta alcuni sintomi facilmente identificabili:

Di notte:

  • russamento abituale (tutte le notti) e persistente (da almeno 6 mesi)
  • pause respiratorie nel sonno (riferite dal partner)
  • risvegli con sensazione di soffocamento in soggetto russatore (non necessariamente abituale)
  • necessità di urinare frequentemente
  • eccessiva sudorazione

Di giorno:

  • sonnolenza e sensazione di stanchezza
  • cefalea mattutina
  • riduzione della concentrazione e dell’attenzione
  • variazioni dell'umore e alterazioni della personalità
  • riduzione della destrezza manuale

Inoltre, ci sono alcune caratteristiche fisiche che favoriscono la presenza di apnee notturne:

  • sovrappeso o obesità (Body Mass Index - BMI, Indice di Massa Corporea - >29 kg/m2);
  • una circonferenza del collo superiore ai 43 cm per gli uomini o a 41 cm per le donne;
  • la presenza di dismorfismi cranio-facciali ed anomalie oro-faringee (tutte quelle situazioni anatomiche che determinano una riduzione del calibro delle prime vie aeree)

Le conseguenze sulla salute

Diagnosticare per tempo la malattia può essere fondamentale: le conseguenze a lungo termine delle apnee notturne sono svariate:

  • i pazienti affetti da apnee notturne presentano una più alta incidenza di malattie cardiovascolari (aritmie; infarto miocardio; ipertensione arteriosa; insufficienza cardiaca, congestizia; ictus) causate dai ripetuti fenomeni di ipossia (carenza di ossigeno) che si verificano durante le apnee notturne e dalle oscillazioni della frequenza cardiaca e dei valori di pressione arteriosa;
  • chi è affetto da apnee notturne ha maggior possibilità di sviluppare resistenza all’insulina
  • le apnee del sonno incidono anche sulle relazioni sociali, compromettendole, a causa della sonnolenza diurna e delle frequenti variazioni del tono dell’umore (depressione).

Nonostante la sindrome delle apnee del sonno sia una patologia notevolmente diffusa nella popolazione, questo disturbo generalmente non viene diagnosticato e trattato in modo adeguato. In Italia, in particolare, tale patologia spesso non viene riconosciuta, per due motivi principali:

  • il fenomeno del “russare” continua a essere sottovalutato dai pazienti e dagli stessi medici
  • le strutture organizzate per poter diagnosticare questa malattia sono ancora poche

Diagnosi 

La Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno, patologia di relativamente recente identificazione fisiopatologica e clinica, è una condizione patologica auto-aggravante ad evoluzione progressiva e richiede, per questo, un tempestivo inquadramento da parte dello specialista.

Come fare, quindi, per effettuare una corretta diagnosi delle apnee notturne?

1. Test di autovalutazione per le apnee notturne

Prima di tutto, potresti interpellare il tuo partner, amici o famigliari, chiedendo loro se durante la notte ti sentono russare rumorosamente o se si accorgono di interruzioni nella tua attività respiratoria.

2. Il ruolo del medico

Se sospetti di essere affetto dalle apnee del sonno, devi contattare immediatamente il tuo medico, che valuterà i sintomi e, se lo riterrà necessario, ti indirizzerà in uno dei centri dedicati allo studio dei disturbi respiratori del sonno, che possono essere presenti sia all’interno di strutture pubbliche sia private.

3. Lo Specialista del sonno

All’interno del centro, lo Specialista del sonno ti sottoporrà ad alcuni esami di approfondimento, anche fisici, come la misura del peso e della circonferenza del collo. Sulla base dei risultati, se mostrerai sintomi di apnee notturne, lo specialista ti prescriverà una polisonnografia o monitoraggio cardio-respiratorio. Quest'ultimo può essere effettuato anche al domicilio.

Per un corretto trattamento delle apnee notturne, ci sono alcune indicazioni da seguire:

    Perdita di peso: il peso eccessivo è ritenuto ad oggi uno dei principali fattori di rischio per l’OSAS;

    Nel caso di pazienti con specifici problemi anatomici, può essere suggerito loro di sottoporsi ad intervento chirurgico (rimozione di parte del palato molle, ugola e altri tessuti, chirurgia maxillo-facciale, etc) o, in casi selezionati, di utilizzare un apparecchio ortodontico di silicone morbido da posizionare in bocca.

Tuttavia, la terapia più efficace per l'OSAS è il trattamento di tipo strumentale. Si possono, infatti, mantenere “aperte” le prime vie aeree con l’utilizzo di un apparecchio ventilatorio a pressione positiva (CPAP / AUTOCPAP).

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Il disturbo della memoriaamnesia è un disturbo presente in molti tipi di patologie (traumatiche, infettive, tossiche, vascolari, degenerative, metaboliche) e consiste in una riduzione più o meno grave della capacità di apprendere e ricordare informazioni ed avvenimenti immagazzinati in precedenza.

Per comprenderne meglio i disturbi è necessaria una premessa sulla definizione e sul meccanismo fisiologico della memoria.  

La memoria è la capacità del cervello di conservare informazioni, ossia di assimilare, ritenere e richiamare, sotto forma di ricordo, le informazioni apprese durante l'esperienza o per via sensoriale. Da questo si deduce che la capacità di apprendimento e di immagazzinamento dei dati acquisiti rende possibile la conoscenza da cui dipendono tutte le nostre azioni soggettive e le condotte sociali, che sono appunto fondate sul recupero a livello della consapevolezza delle informazioni precedentemente archiviate.

Il più diffuso criterio di classificazione della memoria si basa sulla durata della ritenzione del ricordo, identificando tre tipi distinti di memoria: la memoria a breve termine, la memoria a lungo terminee la memoria sensoriale.

La memoria a breve termine o memoria primaria è quella parte di memoria che si ritiene capace di conservare una piccola quantità di informazioni chiamata span (tra i 5 e i 9 elementi) per una durata di 20 secondi circa. Attualmente, gli psicologi cognitivi preferiscono definirla memoria di lavoro.

La memoria a lungo termine, capace di conservare una quantità enorme, anche se non infinita di informazioni, viene suddivisa in memoria semantica (legata alla comprensione del linguaggio), memoria episodica (relativa agli eventi) e memoria procedurale (relativa alle azioni e procedure per eseguire comportamenti complessi).

La memoria sensoriale immagazzina, per la durata di pochi secondi o millisecondi, informazioni uditive (memoria ecoica), visive (memoria iconica), tattili, olfattive e gustative.

I processi mnemonici dal punto di vista neurofisiologico avvengono grazie alla modifica, indotta dal segnale, delle connessioni sinaptiche di una specifica rete neuronale, il cui il mediatore è il Glutammato, dapprima nell'ippocampo (che codifica le informazioni) e poi nella corteccia cerebrale (dove i dati vengono definitivamente conservati). L'amigdala riveste un ruolo importante nel modellamento e nella conservazione della memoria, dato che è l'organo deputato a conferire una colorazione emozionale ed affettiva ai ricordi. L'IGF-1 (insulin-like growth factor) o somatomedina è fondamentale per immagazzinare i ricordi e farli rimanere più a lungo stimolando le connessioni interneuronali e migliorando quindi la memoria.

Da quanto è stato esposto emerge che il sistema limbico, di cui fanno parte ippocampo ed amigdala, esplica una funzione fondamentale nel mantenimento della memoria che consiste nel registrare di continuo eventi ed esperienze, codificare le informazioni ricevute ed infine recuperare le informazioni archiviate. Se viene alterata una di queste tre fasi si assiste alla comparsa del disturbo della memoria.

Come principio generale, quando si instaura un disturbo della memoria di fissazione i nuovi ricordi non riescono a fissarsi e sostituire per aggiornamento i vecchi, mentre un disturbo alla memoria di rievocazione non permette ai vecchi di tornare in mente e tutti i ricordi sono continuamente aggiornati, fino alla scomparsa, nei casi più gravi, della percezione del proprio passato.

La perdita di memoria è chiamata amnesia, che può essere anterograda (quando non è più possibile apprendere e ricordare eventi dopo l'evento lesivo) o retrograda (quando viene cancellata la memoria relativa ad un periodo di tempo variabile antecedente alla data della lesione). L’amnesia retrograda è di frequente osservazione nei casi di trauma cranio-encefalico moderato o severo, per cui il soggetto non ricorda l’evento traumatico e le sue modalità di accadimento. L’amnesia lacunare definisce una perdita di memoria che interessa solo un breve periodo di tempo, limitato ad alcune ore o al massimo a giorni, in cui il paziente non ricorda quanto accaduto e si distingue dall'amnesia retrograda, che causa invece la perdita di memoria di tutto il passato del paziente.

Se l'amnesia anterograda è associata all’amnesia retrograda si parla anche di amnesia globale. L’amnesia può essere transitoria (come nel caso di un evento traumatico, con successivo ripristino della normale funzionalità mnemonica); stabile (se provocata da un evento morboso grave, come ad esempio nell’arresto cardiaco); progressiva (se riscontrata in malattie degenerative, come la malattia di Alzheimer).

http://www.poliambulatorioes.it/420/giornata-di-screening-delle-funzioni-cognitive

Tra gli altri disturbi della memoria si annoverano:

  • La paramnesia, cioè la falsificazione della memoria attraverso una distorsione del ricordo.
  • L'ipermnesia o ipertimesia quando si possiede una esagerata memoria autobiografica tale da permettere il ricordo di gran parte degli eventi vissuti nella propria vita.
  • L'allomnesia, ovvero i ricordi falsati in termini di spazio o tempo per errore di locazione.
  • L'ecmnesia è un disturbo della memoria, di tipo allucinatorio, in cui alcuni soggetti trasformano i ricordi del passato in esperienze attuali: in altre parole il passato si manifesta come se fosse presente.
  • La rimozione, cioè la dimenticanza inconsapevole di eventi considerati inaccettabili. Spesso alla rimozione si associa il ricordo paravento (o ricordo di copertura) ossia un ricordo che a livello conscio è tollerabile ma che nasconde, inconsciamente, un evento traumatico.
  • L'immagine eidetica, un ricordo visivo vissuto talmente vividamente da sembrare un'allucinazione.
  • La letologia, che è la temporanea incapacità di ricordare un nome proprio o di un oggetto.
  • La disnomia è la difficoltà o incapacità a richiamare alla memoria la parola corretta quando è necessaria che si manifesta nei soggetti confusi, isterici, in casi di epilessia temporale e nei soggetti intossicati dall'assunzione di allucinogeni.
  • Il lapsus memoriae, spesso dovuto a momentanee confusioni o a vuoti di memoria e quindi all'affiorare di pensieri dall'inconscio e dal subconscio.

Diagnosi Diagnosi

Se il disturbo della memoria comincia ad essere persistente e ad avere un’intensità tale da creare un crescente disagio, pur non inficiando la autonoma esplicazione delle occupazioni della vita di tutti i giorni, è necessario sottoporsi ad una visita neurologica.

Il primo step diagnostico deve consistere nella valutazione dello stato neurologico del soggetto (livello di coscienza e di attenzione, integrità dell’eloquio, della capacità di lettura e scrittura, etc.) seguito da un attento esame del suo stato psicologico, per escludere che si trovi in una temporanea condizione di demotivazione personale o di depressione, fattori che notoriamente incidono sul suo livello di attenzione e che potrebbero indurre alla erronea conclusione di ascrivere un deficit di memoria a disturbo cognitivo.

Il passo successivo consiste nella somministrazione di test neuropsicologici che devono consentirne una valutazione quantitativa del disturbo di memoria in quanto il paziente può minimizzare o addirittura negare l’esistenza di problemi mnesici o al contrario sovrastimare dimenticanze anche modeste riscontrate nel corso delle attività quotidiane, attribuendole alla insorgenza di una patologia neurologica degenerativa. Il risultato dei test è espresso da un punteggio che esprime di quanto le prestazioni del paziente si discostino da quelle rilevate su campioni di controllo con caratteristiche analoghe di età, sesso e scolarità.

I test della memoria a breve termine (MBT). Sono rivolti a definire la massima capacità di immagazzinamento (Span) di materiale nella memoria a breve termine.

  • Digit Span (in versione Forward e Backward): il soggetto deve ripetere delle coppie di sequenze di cifre (in avanti nel Forward o a rovescio nel Backward) nello stesso ordine in cui vengono pronunciate dall’esaminatore. L’89% dei sogggetti normali ha uno span fra 5 e 8; uno span di 4 è considerato borderline mentre 3 è nettamente deficitario.
  • Test di Corsi: si propone, toccando con l’indice, una sequenza standard di lunghezza crescente di cubetti numerati; appena terminata la dimostrazione si chiede al soggetto di riprodurla. Il test consente la misura dello span di memoria visuo-spaziale il cui valore di punteggio medio è uguale a 5 su un campione di 321 soggetti italiani.

 I test della memoria a lungo termine (MLT)

Servono a valutare la capacità dei processi di analisi ed elaborazione dell’informazione assunta in MBT per l’immagazzinamento nella MLT.

  • Memoria di prosa: l’esaminatore legge un raccontino e chiede al soggetto di ripeterlo (rievocazione immediata); dopo la rievocazione, viene letto una seconda volta ed ha luogo la seconda ripetizione (rievocazione differita). Il punteggio massimo per ogni rievocazione è 8; il punteggio grezzo è confrontato con i valori medi e le deviazioni standard.
  • Test del breve racconto: somministrato in modo analogo al precedente, ma è riferito ad un fatto di cronaca che viene letto dall’esaminatore. In questo test esistono differenze tra i punteggi medi in funzione dell’età e della scolarità e sono significativamente diversi fra maschi e femmine.
  • Coppie di parole: l’esaminatore pronuncia delle parole che devono essere ripetute nel medesimo ordine. Se il soggetto rievoca correttamente almeno 2 stringhe su 3, si passa alla stringa di lunghezza maggiore. Lo span è rappresentato dalla seriepiù lunga per la quale sono state ripetute correttamente almeno due stringhe.
  • La memoria episodica recente: si mostrano tre oggetti di uso comune che vengono poi nascosti in 3 posti diversi; dopo 10-15 minuti si chiede al soggetto quali oggetti sono stati nascosti e dove.
  • Mini Mental State Examination (Folstein et al, 1975): è il test di più frequente adozione per la valutazione dei disturbi dell’efficienza intellettiva in quanto fornisce un quadro del livello cognitivo globale del paziente (l’orientamento spazio-temporale, la memoria a breve termine, la memoria di lavoro, il linguaggio e le abilità prassico-costruttive). Il punteggio totale è compreso fra un minimo di 0 ed un massimo di 30. Punteggi particolarmente bassi al MMSE (> 18) sono indicativi di un deterioramento cognitivo grave. Un punteggio compreso fra 18 e 23 è indice di una compromissione fra moderata e lieve, un punteggio pari a 26 è considerato borderline.

Se la valutazione neuropsicologica evidenzia un significativo coinvolgimento dei processi di fissazione e di rievocazione mnemonica, si impone il ricorso ad indagini strumentali che hanno il duplice scopo di escludere possibili cause organiche dei sintomi cognitivi e, dall’altro, di valutare il grado di compromissione cerebrale.

A tal fine, prezioso è l’apporto del Neuroimaging fornito in prima istanza dalla TAC (Tomografia Assiale Computerizzata), utile per misurare lo spessore degli emisferi cerebrali, ed ancor più dalla Risonanza Magnetica funzionale dell’encefalo (RMf), che consente di ottenere un’immagine della struttura del cervello molto particolareggiata includendo la perdita progressiva di materia grigia nel cervello, dal "mild cognitive impairment" fino alla malattia di Alzheimer conclamata. Notevole importanza riveste anche la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET), che valuta il flusso del sangue nel cervello (ridotto nei pazienti affetti dalla m. di Alzheimer).

Quale corollario al profilo diagnostico della valutazione globale del soggetto che presenta disturbo della memoria occorre citare i test ematici per la determinazione di ferro, glicemia, vitamine, colesterolo ed altro.

Rischi Rischi

Allorquando dopo la sesta decade di vita si renda evidente una forma di deficit della memoria e dell'apprendimento (declino cognitivo lieve), anche non particolarmente grave, è altamente consigliato sottoporsi ad una valutazione neuropsicologica, al fine di individuare la eventuale necessità di un trattamento precoce, perché potrebbe aumentare le probabilità di sviluppare la malattia di Alzheimer negli anni successivi.

Cure e Trattamenti Cure e Trattamenti

Da tutto quanto è stato sinora esposto emerge che al fine di individuare gli interventi terapeutici più opportuni per i disturbi di memoria e concentrazione, quando percepite come rilevanti, è innanzitutto importante identificarne le cause.

Qualora emerga una situazione caratterizzata da ansiadepressione, come fattore rilevante in associazione alle difficoltà cognitive, il soggetto dovrà essere trattato con appropriata terapia farmacologica, eventualmente affiancata da un percorso psicoterapico. Tenendo conto dell’impatto di alcuni farmaci psicotropi sulle prestazioni cognitive, particolare attenzione verrà data alla scelta del farmaco più adatto.

Se sono identificati fattori di rischio, quali ipertensione arteriosa, diabete mellito, dislipidemie, cardiopatie, presbiacusia si agirà nella maniera più opportuna allo scopo di tenerli sotto controllo. Egualmente si dovranno correggere irregolari stili di vita, per minimizzare il rischio del declino cognitivo. È ben noto infatti che i più efficaci fattori protettivi includono costante attività intellettiva, regolare igiene di vita ed adeguata attività fisica.

Trattando della farmacoterapia convenzionale è doveroso puntualizzare che non esistono farmaci “nootropi” miracolosi per la memoria.

L’impiego di alcune vitamine (particolarmente la vit. E) ed i preparati donatori di colina hanno dimostrato effetti positivi nel contrastare l’evoluzione dei sintomi, limitando lo sviluppo delle alterazioni patologiche cerebrali che accompagnano il decadimento cognitivo.

L’omotaurina, trovata inizialmente nelle alghe marine ed attualmente prodotta per via sintetica, ha dimostrato di proteggere il cervello dall’invecchiamento e di migliorare la funzionalità della memoria inibendo la formazione di aggregati fibrillari neurotossici. Si tratta di una molecola associata ad un buon profilo di sicurezza e tollerabilità, che ha mostrato di esercitare benefici effetti cognitivi statisticamente significativi, particolarmente nei domini ADAS-cog della memoria, delle abilità di pianificazione ed esecuzione e delle abilità verbali, in una sotto-popolazione omogenea APOE4+ dello studio ALPHASE. Analisi post-hoc hanno altresì rivelato un’azione neuro-protettiva nella riduzione della perdita di cellule ippocampali.

L’orientamento odierno per la prevenzione della malattia di Alzheimer e delle altre demenze si fonda sull’individuazione di fattori di rischio e sull’adozione precoce di fattori protettivi per il declino cognitivo (controllo della dieta, aumento dell’attività fisica e dell’esercizio mentale) e nella prevenzione medica di comorbidità (controllo dell’ipertensione, del diabete o della dislipidemia).

Concludendo, l’odierno trattamento dei disturbi di memoria consiste innanzitutto in misure preventive ed inuna strategia terapeutica combinata, con utilizzo di farmaci e programmi di riabilitazione cognitiva per il rinforzo delle memoria, che raggiungono il miglior risultato nei pazienti con forme non avanzate. Anche la terapia occupazionale, attuata mediante il coinvolgimento dei pazienti in attività intellettive, sociali e ricreazionali, ha mostrato di ritardare il declino cognitivo e migliorare le attività quotidiane, con il supporto di figure professionali con competenze specifiche in questo ambito.

Per ultimo, non si insisterà mai abbastanza sul valore dell’alimentazione, che deve essere soprattutto parca, perché i pasti abbondanti riducono le prestazioni intellettive e l’efficienza mnemonica,  e ricca di quelle sostanze che hanno dimostrato di favorire le funzioni cognitive.

Cibi ideali per la memoria sono gli alimenti ricchi di fosfolipidi (lecitina), fibre, minerali (soprattutto ferro e zinco), vitamine (in particolare acido folico, betacarotene e vitamina C) e antiossidanti (polifenoli, bioflavonoidi, antociani), contenuti in larga parte in frutta e verdura e tè verde. L’alimentazione deve inoltre essere composta da alimenti a basso contenuto di grassi saturi (carni grasse, formaggi e prodotti di origine animale in genere) e di colesterolo e ricca, invece, di grassi insaturi che si trovano in noci, pesci grassi, oli vegetali come quello extra-vergine d’oliva o di girasole.

 

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CELIACHIA

I SINTOMI

Sono tipiche le manifestazioni gastrointestinali (dolore addominale, diarrea) dopo un pasto con glutine.

La celiachia può dare sintomi molti modi diversi, ad esempio con una dermatite o un'aftosi orale ricorrente, un'anemia da carenza di ferro, una ridotta mineralizzazione delle ossa da carenza di vitamina D, oppure anche disordini ormonali e poliabortività.

COME CAPIRE SE SEI CELIACO

L'allergologo nel sospetto di celiachia, richiede esami ematici che tuttavia possono risultare alterati se il glutine è già stato escluso dalla dieta. E' importante quindi, anche nel sospetto di una celiachia, non escludere il glutine fino a quando la diagnosi non sia stata confermata.

La sensibilità al glutine non sfocia per forza in celiachia vera e propria

Ci sono sicuramente persone che non tollerano il grano, hanno sintomi simili alla celiachia, ma non hanno la malattia celiaca. E' possibile che una parte di questi soggetti sia intollerante ai FODMAPs, che sono presenti anche nel grano.

In questo caso, quindi, l'intolleranza sarebbe ad una componente del grano diversa dal glutine.

Cosa sono i FODMAPs?

I FODMAPs (Oligosaccaridi, Disaccaridi e Monosaccaridi fermentabili e Polioli) rappresentano una categoria di alimenti che contengono zuccheri difficili da digerire per molte persone. Consumare questi cibi, soprattutto se in combinazione tra di loro e in grandi quantità, alla lunga può creare sintomim a livello gastrointestinale.

I test per celiachia sono positivi solo nella malattia celiaca; purtroppo ad oggi non abbiamo test diagnostici specifici e scientificamente attendibili nè per l'intolleranza ai FODMAPs nè per la sensibilità al glutine di tipo non celiaco.

TEST PER ALLERGIE ALIMENTARI

Il test cutaneo (prick test) oppure la ricerca delle IgE specifiche per alimenti su prelievo di sangue.

 i sintomi delle allergie alimentari

  • Possono intessare
  • la cute, con rash cutanei di vario tipo
  • l'apparato gastrointestinale con coliche, diarrea o nausea/vomito
  • difficoltà respiratoria o interessamento cardiocircolatorio, fino allo shock anafilattico

Solitamente, le reazioni allergiche si presentano a breve distanza di tempo dall'assunzione dell'alimento scatenante (entro 1 ora solitamente).

 

 

 

 

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Una reazione allergica è una risposta complessa determinata dall’interazione di diversi fattori, genetici, immunitari e ambientali. L’esposizione a un certo tipo di polline o il contatto con alcuni tipi di sostanze, nel soggetto allergico, induce l'organismo a produrre anticorpi specifici, le immunogluline E (IgE).

Diversi tipi di polline inducono diverse IgE. Le IgE prodotte innescano nelle mucose e nei tessuti epidermici dei tratti del sistema respiratorio un processo che induce al rilascio di sostanze irritanti, come le istamine, che infiammano i tessuti dermici e delle mucose.

I test allergici
Per identificare quale polline causa una certa allergia, è possibile effettuare diversi tipi di test.

Un’attenta analisi parte da un'anamnesi familiare e fisiologica, ma è seguita da test in vivo e in vitro, effettuati direttamente dagli specialisti sul paziente e nei laboratori di analisi.

Il test maggiormente impiegato è lo 'skin prick test', o test cutaneo: si esegue depositando su un braccio o sulla schiena del paziente qualche goccia degli allergeni puri che si vogliono testare e pungendo la pelle con un ago. Se dopo qualche decina di minuti la pelle ha reagito alla sostanza la persona è allergica a quello specifico allergene.


Vi è poi il 'patch test', o test epicutaneo utilizzato per la diagnosi delle dermatiti da contatto. In questo caso viene posato sulla pelle del paziente un grande  fazzoletto adesivo, sul quale sono posati diversi allergeni. Bisogna attendere da due a quattro giorni per avere una risposta al test : se la pelle reagisce a una data sostanza posata in una zona del cerotto vuol dire che si è allergici allo specifico allergene.


Nel caso i risultati di questi due primi test non siano chiari si procede al test di provocazione o scatenamento, che va effettuato in ambiente controllato e con la presenza di personale medico: in questo caso il paziente viene esposto direttamente all’allergene e poi viene monitorato per alcune ore per osservare se vengono registrati eventuali sintomi.

Un altro tipo di indagine utilizzata è quella dei test ematici, tra i quali figura il 'prist test', col quale si cercano le immunoglobuline nel sangue senza stabilirne la natura, e il 'rast test' che invece è più specifico poiché ricerca e dosa le IgE specifiche nei confronti degli allergeni sospettati. Va tuttavia considerato che questi ultimi tipi di test, di per sé, non sono sufficienti per una diagnosi affidabile e vengono considerati test di secondo livello, da applicare, se necessario, dopo l'esecuzione dei test in vivo.


Infine, soprattutto nei casi di sospette intolleranze alimentari, esiste il test di eliminazione o sospensione, col quale si eliminano dalla dieta gli alimenti sospetti per un periodo di due-tre settimane e si osserva se i sintomi scompaiono oppure no. 

Come prevenire e trattare le allergie
La migliore lotta contro l’allergia è chiaramente cercare di evitare il contatto con la sostanza allergenica. Se questo è più facile nel caso di altri fattori allergenici, per quanto riguarda i pollini è assai più complicato perché significa non rimanere all’aperto nel periodo di migrazione, chiudere le finestre e utilizzare filtri dell’aria e sistemi di condizionamento. I sintomi possono essere mitigati con l’assunzione di farmaci da banco, decongestionanti, antistaminici e corticosteroidi nasali (vedi articolo principale).
In caso di allergie più gravi, invece, i cui sintomi perdurano per periodi di tempo più lunghi e con maggiori effetti, è possibile effettuare una immunoterapia con molteplici iniezioni di allergene diluito a concentrazioni crescenti, in modo che l’organismo si abitui alla sua presenza e riduca la risposta immunitaria che scatena l’allergia: la vaccinazione profilattica (immunoterapia allergene-specifica), praticata con somministrazione sottocutanea degli estratti allergenici, può contrastare l'insorgenza o controllare la progressione delle patologie allergiche e costituisce l'unico intervento in grado di modificare stabilmente le reazioni del sistema immunitario facendolo 'abituare' alla presenza delle sostanze allergizzanti.

Le iniezioni si praticano con diverse modalità, ogni settimana o a intervalli più ravvicinati, durante il periodo in cui non è presente nell'aria l'allergene per le allergie stagionali.

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La fisiokinesiterapia è un trattamento utilizzato dal fisioterapista basato sulla stimolazione del sistema nervo-muscolare. Il trattamento consiste in esercizi di ginnastica, in forma attiva, passiva e nella massoterapia. Questo tipo di terapia è particolarmente indicata per il recupero di forza ed elasticità a seguito di eventi traumatici, disturbi neurologici, patologie reumatiche e problemi vascolari o respiratori.

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La valutazione cognitiva prende in esame le funzioni corticali superiori ed in particolare la attenzione, l’orientamento, la memoria, il linguaggio, le funzioni esecutive (ossia la programmazione delle attività) e le funzioni prassiche (ovvero la successione delle attività).

La valutazione dello stato cognitivo dovrebbe essere effettuata sistematicamente nell’anziano in quanto esso influenza le prestazioni funzionali e quindi lo stato di salute del soggetto.

Un recente articolo del British Medical Journal prende in esame le funzioni cognitive dell’anziano e propone una scala di valutazione semplice e facilmente utilizzabile nel contesto delle cure domiciliari.

Le affezioni che più comunemente comportano problemi cognitivi nell’anziano sono la demenza, la depressione e gli stati deliranti.

1. La demenza interessa il 20% della popolazione sopra gli 80 anni,

2. il delirio può colpire fino al 50% degli anziani ricoverati e

3. gli episodi depressivi maggiori colpiscono ogni anno fino al 30% degli ultra 70 enni.

Si definisce “demenza” una sindrome clinica caratterizzata da difficoltà di memoria, disturbi del linguaggio, modificazioni psicologiche e comportamentali e talora sintomi psichiatrici, difficoltà di vario grado nella esecuzione delle attività quotidiane.

Per “depressione” si intende un disturbo psichico caratterizzato da abbassamento del tono dell’umore, perdita di interesse e di piacere nelle attività (anedonia), scarsa cura di sé, perdita di speranza per il futuro, pensieri tristi che possono talora giungere fino a desideri di morte.

Per “delirio” si intende una variazione rapida dello stato di coscienza con agitazione o sonnolenza, scarsa capacità di mantenere la attenzione e di interagire con l’ambiente, ideazione e linguaggio incoerente: esso generalmente insorge in pazienti con precedente deficit cognitivo che incorrano in episodi febbrili, si sottopongano a particolari stress (ricoveri, interventi chirurgici) od assumano farmaci psico-attivi.

La distinzione tra i diversi quadri è molto importante in quanto sia lo stato delirante che la depressione  possono essere efficacemente curati con ripristino dello stato psichico-cognitivo antecedente.

Il medico di famiglia è nelle migliori condizioni per sospettare un deficit cognitivo, in quanto conosce da tempo il paziente ed il suo livello culturale ed intellettivo e può facilmente riscontrare una variazione delle prestazioni cognitive in un arco di tempo.

Come effettuare la valutazione cognitiva dell’anziano

Le prime, più importanti indicazioni ci giungono, come sempre, dalla osservazione diretta, che dovrebbe essere nel contempo minuziosa, accurata e discreta, in quanto i primi segni di declino cognitivo possono essere sottovalutati dai familiari che possono considerarli segni del procedere del tempo e “compensarli” all’interno del nucleo familiare, adattando la organizzazione della vita familiare al declino dell’anziano.

La attenzione del medico andrà focalizzata sul modo di presentarsi del paziente, sul suo modo di vestire, sulla cura di sé: il medico di famiglia è spesso in grado di cogliere il variare di queste caratteristiche in un arco di tempo e di sospettare un declino cognitivo.

Dalla fase di osservazione è opportuno passare ad una discussione aperta,  senza toni inquisitori, ove il medico deve verificare se vi siano stati mutamenti nella vita quotidiana: forse il paziente dimentica scadenze ed appuntamenti, non ritrova oggetti riposti in sedi inusuali, smarrisce soldi o documenti, è soggetto ad infortuni domestici. 

Si invita il paziente a parlare liberamente e si valuta tanto il contenuto quanto la organizzazione del discorso: con tatto e gradualità si devono ricercare disturbi della memoria, specie quella anterograda più precocemente compromessa, ma anche la memoria semantica (significato delle parole) e la fluenza verbale. 

Il modo di esprimersi del paziente può essere poco chiaro, incoerente, interrotto da pause legate ad anomie e coperte con parole “passe partout” o da frasi fatte: può avvenire che il paziente perda più volte il filo del discorso e non ricordi più né l’argomento né il contesto.

Se clinicamente riscontriamo anomalie di questo tipo possiamo formulare una diagnosi di declino cognitivo e passare ad una valutazione del grado di declino e ad un diagnostica differenziale sulle cause.

Un importante supporto al medico viene fornito da alcuni test di valutazione molto affidabili ma che debbono sempre essere utilizzati a complemento della indagine clinica e non in sostituzione di  essa.

I Test di valutazione cognitiva nella medicina pratica

Il test più usato e più ampiamente convalidato nel mondo occidentale è il Mini-Mental State Examination che tuttavia richiede una quantità di tempo non sempre disponibile nella medicina pratica ed è inoltre stato recentemente coperto da un brevetto che ne limita le condizioni d’uso.

Una importante novità ci viene dai colleghi australiani che hanno creato e validato un test molto semplice che ha una sensibilità e specificità diagnostiche (85% ed 86% rispettivamente) che sono raffrontabili con quelle del Mini-Mental, pur richiedendo meno di 4 minuti per il paziente e circa 2 minuti per il care-giver; si tratta del GPCog (General Practice Cognitive Test): date le sue caratteristiche favorevoli esso si è diffuso largamente nei paesi a lingua e cultura inglese.

Ne riportiamo la versione scaricabile in italiano.

Valutazione Cognitiva – modulo

La valutazione delle ipotesi diagnostiche fino alla diagnosi di ragionevole certezza può essere efficacemente riassunta in un semplice schema. Quando il medico, sulla base della valutazione clinica e dei dati forniti dal GPCog formula diagnosi di demenza deve anzitutto escludere che si tratti di una forma depressiva o di uno stato delirante e quindi ricercare accuratamente le forme di demenza secondaria, specie quelle correggibili (cause ormonali, neoplasie cerebrali benigne ecc).

Accertata la presenza di una demenza non secondaria vanno distinte mediante la indagine clinica, la diagnostica per immagini e la consulenza specialistica, le forme di Alhzeimer (50% circa), le forme Vascolari (25% circa), le forme miste, le demenze con corpi di Lewy (15%circa) e le forme meno comuni (demenze fronto-temporali, forme sottocorticali, ad es. secondarie a m. di Parkinson ecc.). 

 

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L' ecocardiogramma è un esame diagnostico che, attraverso uno strumento che si avvale dell'uso di ultrasuoni, permette di verificare lo stato di salute del cuore, delle valvole e del flusso di sangue.
L'ecocardiogramma è particolarmente indicato per valutare cardiopatie congenite, malattie delle valvole cardiache ed a seguito di interventi cardiochirurgici.

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ALLERGIE: quali sono le cause, i sintomi, le cure

Le allergie sono ormai diffusissime, soprattutto nei bambini, ma non tutti sanno che, presa per tempo diminuisce di molto la sensibilità negli anni della persona, in modo da non sviluppare nuove reattività ad altri allergeni.

Se credi che i tuoi malesseri siano legati ad un’allergia o intolleranza, fai un rapido test.

Quali sono i sintomi tipici dell’allergia?

  • rinite (prurito, ostruzione nasale, starnuti, rinorrea)
  • asma (tosse, difficoltà respiratoria),
  • congiuntivite (prurito e lacrimazione),
  • sintomi a carico della cute (prurito, eritema, orticaria, angioedema ed eczema),
  • sintomi gastrointestinali (prurito al cavo orale, vomito, diarrea, dolori addominali),
  • edema della glottide
  • shock anafilattico (ipotensione, malessere, perdita di conoscenza).

I sintomi delle reazioni allergiche IgE mediate sono tipicamente immediati; di solito iniziano da pochi minuti a 1-2 ore dopo il contatto con l’allergene.

La dermatite allergica da contatto è invece una reazione allergica ritardata, che ha una patogenesi diversa dalle reazioni allergiche IgE mediate.

 

LA CLASSIFICAZIONE DELLE ALLERGIE

Allergia respiratoria

L’allergia respiratoria è causata da allergeni inalanti: diversi tipi di polline, epiteli di animali, acari della polvere di casa, micofiti e si manifesta con congiuntivite, rinite, tosse, asma bronchiale.

Allergia alimentare

Il sintomo iniziale di un’allergia alimentare è spesso il prurito immediato alle labbra e al cavo orale, che a volte può essere seguito da sintomi gastrointestinali, respiratori e cutanei e, nei casi più gravi, da edema della glottide e shock anafilattico. L’allergia alimentare nel lattante e nel bambino è più spesso causata dalle proteine del latte vaccino, mentre nell’adulto, in particolare negli allergici ai pollini, è più comune l’allergia ad alcuni frutti e verdure per cross-reazione tra allergeni presenti in alcuni pollini e in alcuni alimenti di origine vegetale.

Allergia a farmaci

I farmaci che più spesso causano reazioni avverse di tipo allergico sono gli antibiotici e gli antiinfiammatori. I sintomi più frequenti sono a carico della cute, in particolare orticaria e angioedema, ma le reazioni possono interessare anche altri organi e apparati, talora con particolare gravità. I test diagnostici sono disponibili solo per pochi farmaci, per cui è indispensabile un’anamnesi accurata per identificare i farmaci che hanno causato la reazione e impostare quindi una strategia di prevenzione.

Allergia al veleno di imenotteri

La puntura di ape, vespa e calabrone nei soggetti allergici può causare sintomi locali, anche estesi, nella sede della puntura, ma in alcun i casi si possono avere sintomi generali come lo shock anafilattico, pericoloso per la vita.

Dermatite atopica

Detta anche eczema costituzionale, può insorgere fin dai primi mesi di vita in alcune zone cutanee tipiche (in sede periorale, periorbitaria, ai gomiti e alle ginocchia).

Nel bambino può essere associata a un’allergia alimentare.

Dermatite allergica da contatto

È una dermatite eczematosa (eritema, vescicole e desquamazione) che si manifesta diverse ore dopo il contatto con alcune sostanze chimiche, come ad esempio il nichel solfato. Le sostanze che possono causare una dermatite allergica da contatto si chiamano apteni anziché allergeni.

Intolleranze alimentari

L’intolleranza alimentare più comune è l’intolleranza al lattosio che è frequente nella popolazione adulta. È causata dalla carenza di un enzima, la lattasi, necessario per l’assorbimento del lattosio, uno zucchero contenuto nel latte. L’intolleranza al lattosio si manifesta con sintomi intestinali (meteorismo, dolori addominali, diarrea) che insorgono dopo l’ingestione di latte o latticini.

Celiachia

La celiachia è una reazione immunologica, non di tipo IgE, verso la gliadina, proteina del glutine presente in grano, orzo, avena e segale. I soggetti affetti da celiachia hanno una predisposizione genetica alla malattia. L’ingestione di glutine nei celiaci provoca alterazioni infiammatorie della mucosa intestinale con conseguenti sintomi intestinali e da malassorbimento; i sintomi a volte sono così lievi che la malattia viene diagnosticata solo in età adulta. La diagnosi di celiachia si basa sulla presenza nel sangue di anticorpi di classe A (IgA) diretti verso antigeni caratteristici della malattia.

 

LA DIAGNOSI

La diagnosi di intolleranza al lattosio viene fatta mediante il Breath test. L’esame consiste nella misurazione, con un apposito strumento, della concentrazione di idrogeno nell’aria che viene espirata dopo aver bevuto una dose standard di lattosio.

Ad oggi non sono disponibili altri test validati per diagnosticare eventuali altre forme di intolleranza ad alimenti o ad additivi alimentari.

Tuttavia per la diagnosi di certezza occorre sottoporsi a una esofagogastroduodenoscopia con biopsia, per confermare la presenza di alterazioni della mucosa intestinale tipiche della celiachia.

Un’accurata anamnesi, effettuata durante una visita allergologica, permette all’allergologo di orientarsi sulle possibili cause e di individuare le prove allergiche indicate per accertare la diagnosi.

Il sospetto diagnostico di un’allergia può essere quindi confermato dai test cutanei (Prick Test).

IL PRICK TEST consente di testare in un’unica seduta i principali allergeni ed essendo un test in vivo, riproduce l’effettiva reattività del paziente all’allergene. Per questi motivi è il test di prima scelta per la diagnosi di allergia a inalanti (ad esempio, pollini, peli d’animale, acari della polvere di casa) e alimenti.

Un altro esame per la diagnosi di allergie IgE mediate è il dosaggio delle IgE specifiche verso singoli allergeni o verso singole molecole allergeniche. L’esame si esegue su un campione di sangue venoso prelevato al paziente e può essere eseguito anche in corso di terapia con antistaminici, in quanto l’esito del test non è influenzato dai farmaci. Il dosaggio delle IgE specifiche è indicato in presenza di alterazioni della cute che non consentono di eseguire i Prick Test e in certi casi può essere utile a completamento del procedimento diagnostico.

Per la diagnosi di dermatite allergica da contatto si utilizzano i Patch Test.

In questo caso i singoli apteni vengono applicati sulla cute del dorso e mantenuti in sede con cerotti fino alla lettura, che avviene dopo 48-96 ore in quanto la dermatite allergica da contatto è una reazione allergica ritardata e non immediata.

Il test è positivo se, nella sede di applicazione dell’aptene, compaiono eritema ed edema pruriginosi con formazione di vescicole.

 

IL TRATTAMENTO

Quando non è possibile evitare il contatto con l’allergene, si può ricorrere a una terapia sintomatica con farmaci antiallergici, generalmente ben tollerati e in grado di alleviare i sintomi.

GLI ANTISTAMINICI sono indicati nell’oculorinite allergica e nell’orticaria. Gli antistaminici più recenti sono ben tollerati e nella maggior parte dei pazienti non provocano sonnolenza.

I CORTISONICI sono utilizzati per via inalatoria per la terapia dell’asma bronchiale e per spray nasale per la rinite. I cortisonici utilizzati per tali formulazioni hanno un’azione solo locale, senza effetti collaterali sistemici e possono quindi essere considerati sicuri.

Per la terapia della dermatite atopica e della dermatite allergica da contatto si possono applicare sulla cute preparati a base di cortisone, che vanno utilizzati per periodi molto brevi, al fine di limitarne gli effetti collaterali.

Nei casi che non rispondono alla terapia locale, il cortisone può essere somministrato per via orale o per via iniettiva, sotto stretto controllo medico, data la possibilità di importanti effetti collaterali sistemici.

Il farmaco di scelta per la terapia dello shock anafilattico è l’adrenalina, che è disponibile in farmacia anche in siringhe predosate per l’autosomministrazione. L’adrenalina autoiniettabile viene prescritta dal medico in caso di precedenti gravi reazioni allergiche, come può succedere in alcuni casi di allergia ad alimenti e soprattutto al veleno di imenotteri.

 

 

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L’INFEZIONE COVID 19 E LE CARDIOPATIE

(Sintesi tratta da UPTODATE aggiornato al 18 gennaio 2021)

La malattia da coronavirus 19 o COVID 19 è causata da una acuta severa sindrome respiratoria. I pazienti tipicamente manifestano sintomi e segni di infezioni del tratto respiratorio

CAUSE POTENZIALI.

Le potenziali cause di danno miocardico in corso di infezione COVID 19 comprendono

  • miocardite,
  • danno ipossico,
  • cardiomiopatia da stress o Takotsubo,
  • danno ischemico causato da disfunzione microvascolare,
  • vasculite dei piccoli vasi,
  • endotelite o malattia delle coronarie epicardiche
  • sovraccarico del cuore destro ( embolia polmonare -distress respiratorio acuto -polmonite);
  • risposta alla sindrome infiammatoria sistemica con ‘storm’ di citochine

impatto di una pre-esistente malattia cardiovascolare.

I sintomi ed i segni di cardiopatia in un paziente COVID 19 possono essere determinati da un processo acuto con richieste emodinamiche, che si inseriscono nel contesto di una precedente cronica cardiopatia o possono essere causati da esacerbazione della malattia cronica stessa.

c’è evidenza di un’associazione tra pre-esistente cardiopatia (come ipertensione arteriosa e cardiopatia ischemica) ed il rischio e la severità dell’infezione COVID 19

PRESENTAZIONE CLINICA

La presentazione clinica cardiaca è ampiamente variabile: qualcuno non presenta segni clinici di cardiopatia, qualcuno non ha sintomi ma ha dei test cardiaci alterati (rialzo della troponina, aritmie cardiache all’ECG o anormalità nei test di immagine, quali ecocardio o risonanza magnetica o PET/TAC), qualcuno ha cardiopatia sintomatica. Le complicazioni cardiache comprendono danno miocardico, scompenso cardiaco, shock cardiogeno, aritmie cardiache compreso arresto cardiaco improvviso.

La maggior parte dei pazienti con COVID 19 ed anormalità dei test cardiaci (troponina, ECG, test di

Immagine) presentano solo i sintomi tipici del COVID 19 (tosse, febbre, mialgie, cefalea, dispnea). Solo una minoranza si presenta con sintomi, che possono suggerire una cardiopatia, come palpitazioni o dolore toracico. Sintomi come dispnea e dolore toracico possono essere dovuti a cause non-cardiache e/o cardiache.

CARDIOPATIA SENZA SINTOMI.

La maggior parte dei pazienti con alterazioni strumentali cardiache non hanno sintomi di cardiopatia, tenendo conto che la dispnea è aspecifica e può essere dovuta a cause non cardiache, specie la polmonite.

DANNO MIOCARDICO

Un danno miocardico dimostrabile con un aumento della troponina si verifica nella maggior parte dei pazienti ospedalizzati, ma le cause non sono state chiarite e sono molte quelle potenziali (vedi sopra). La presenza e la grandezza del rialzo di troponina sono associati a malattia più severa e ad un outcome peggiore.   Le condizioni cliniche più frequentemente associabili sono l’infarto miocardico, la miocardite e la cardiopatia da stress.

INFARTO MIOCARDICO

Una relativamente alta percentuale di pazienti con infezione COVID 19 sono affetti da malattia coronarica e nella maggior parte dei casi questa è asintomatica all’esordio. E’ probabile che il COVID 19 direttamente o indirettamente colpisca il sistema cardiovascolare, causando o contribuendo a determinare destabilizzazione cliniche con sindromi coronariche acute, ovvero angina e infarto miocardico con o senza sopraslivellamento del tratto st. In presenza di sindrome coronarica acuta la fase diagnostica, la terapia e la gestione è sovrapponibile a quella erogata ai pazienti non affetti da COVID 19.

MIOCARDITE

Sono stati pubblicati molti case reports con diagnosi di clinicamente sospetta miocardite, ma ci sono stati pochi casi di miocardite virale confermata istologicamente e nessun caso di miocardite definitivamente dimostrata da COVID 19

CARDIOMIOPATIA DA STRESS

Sono stati pubblicati molti casi compatibili con cardiomiopatia da stress ed alcune piccole casistiche.     La prevalenza è maggiore intorno ai 70 anni e nel sesso femminile. Tra queste ci sono state complicazioni importanti quali scompenso cardiaco, shock cardiogeno, tamponamento cardiaco, crisi ipertensive.

SCOMPENSO CARDIACO

Lo scompenso cardiaco può essere precipitato dalla malattia acuta su una pre-esistente, conosciuta o meno, cardiopatia (malattia coronarica, cardiopatia ipertensiva o altro), dallo stress emodinamico acuto (es. cuore polmonare acuto), o da danno miocardico acuto ( es. infarto miocardico, cardiomiopatia da stress, crisi da citochine, altre possibili eziologie descritte sopra). Pazienti con storia di scompenso acuto possono evolvere in scompenso a causa della malattia. Questi pazienti hanno una prognosi meno favorevole, indipendentemente dalla FE iniziale.  

SCOMPENSO CARDIACO DESTRO

Riguarda per lo più i casi con decorso complicato. Scompenso acuto del cuore destro è descritto come conseguenza di ipertensione polmonare dovuto a distress respiratorio (ARDS) oppure a embolia polmonare, che frequentemente complica le importanti trombosi venose profonde.

SHOCK CARDIOGENO

Sono stati descritti casi con insorgenza improvvisa di shock cardiogeno. Questi paiono in prevalenza dovuti a cardiomiopatia da stress o in alternativa a miocardite fulminante, che recuperava nel giro di una settimana; tuttavia la miocardite non è mai stata dimostrata istologicamente nelle biopsie effettuate.

SINDROME INFIAMMATORIA MULTISISTEMICA DELL’ADULTO (MIS-A)

E’ una sindrome simile a quella descritta inizialmente nei bambini ed è stata vista in giovani adulti o di mezza età, che manifestano febbre, sintomi gastro-intestinali, shock, disfunzione ventricolare sinistra, marker di infiammazione elevati. Molti di questi pazienti hanno una storia recente di infezione da COVID 19 e anticorpi positivi per COVID 19. La diagnosi va considerata in adulti giovani o di età intermedia con shock infiammatorio. Questa sindrome risponde molto bene agli steroidi per via venosa.

ARITMIE CARDIACHE

Gran parte dei pazienti affetti da COVID 19 non presentano sintomi o segni di aritmia o malattia delle vie di conduzione. Le aritmie si possono vedere nei pazienti con danno miocardico, ischemia miocardica, ipossia, shock, disturbi elettrolitici; quelli che ricevono terapia che allunga il QT e quelli con cardiopatia già presente.

Tutti i pazienti con infezione da COVID 19 dovrebbero eseguire un ECG a 12 derivazioni di base o almeno essere monitorati con telemetria con una o più derivazioni.

Nei pazienti con torsioni di punta, in caso di instabilità emodinamica il trattamento è quello consueto di rianimazione e cardioversione, seguito eventualmente da pacing, somministrazione di magnesio ev e rimozioni di farmaci favorenti l’aritmia.

Prima di somministrare farmaci che allungano il QT va effettuato ECG misurando il QTc di base. A questo va fatta seguire una discussione dinamica del rischio beneficio del farmaco e va seguito nel tempo l’effettivo realizzarsi del prolungamento del QTc. Se questo nel tempo supera i 500 msec o se aumenta di 60 msec rispetto al basale, va corretto l’eventuale squilibrio elettrolitico e considerata la riduzione o sospensione del farmaco responsabile, possibilmente prima di arrivare alla torsione di punta.  

VALUTAZIONE E GESTIONE DELLE CARDIOPATIE

Una valutazione cardiologica con ECG ed eventualmente ecocardiogramma è assolutamente indicata in caso di scompenso cardiaco di nuova insorgenza (destro o sinistro), aritmie cardiache non spiegate, presenza di alterazioni ECG.

Per i pazienti non ospedalizzati reduci da infezione COVID, proponiamo l’esecuzione di un elettrocardiogramma ed un prelievo ematico con emocromo, BNP o NT-proBNP, PCR, ferritina.

Se questi esami dimostrano alterazioni e nei casi con sintomi suggestivi o compatibili con scompenso cardiaco o aritmie o ipertensione polmonare proponiamo una valutazione specialistica cardiologica associata ad un ecocardiogramma.

 

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Le cause scatenanti l'aggressività dei bambini

Per poter intervenire efficacemente sui comportamenti aggressivi le migliori strategie educative mirano ad aiutarli a esprimere i loro vissuti e i loro bisogni senza che questo comporti il fare del male ad altri.

Importante sarà allora

Osservare con attenzione il bambino nei momenti precedenti e seguenti il comportamento aggressivo. Prendere appunti giornalieri porterò alla luce

 

  • il motivo di una condotta che sembra inspiegabile
  • la presenza di uno schema che si ripete

 

Questo può aiutare a capire dove intervenire.

Se comportamenti aggressivi compaiono soprattutto in concomitanza di momenti di transizione, le strategie educative più efficaci stabiliranno delle routine quotidiane, come l’utilizzo di carte illustrate per decodificare megliole fasi della giornata.

Se alcuni comportamenti violenti sono dovuti a

  • un accumulo di adrenalina
  • un’eccitazione eccessiva 
  • una forte emozione difficile da esprimere verbalmente

le attività di manipolazione (con la pasta di sale, la sabbia, l’argilla…) sono rilassanti ed  offrono una piacevole stimolazione sensoriale: il bambino indirizzerà positivamente le proprie energie, evitando che sfocino in aggressività o violenza.

Come agire nel momento in cui ci si trova davanti a tali comportamenti?

Bisogna subito segnare il limite, bloccando il comportamento con amorevole fermezza.

Il bambino avrà a questo punto bisogno del tempo per calmarsi, e lo aiuìteremo rassicurandolo emotivamente e anche fisicamente se vuole.

Poi sarà aiutato a tradurre in parole l’emozione o il bisogno che ha provocato quel comportamento.

Insieme, si troveranno delle alternative per risolvere il malessere, senza aggressività.

Per saper come comportarsi nel caso di bambini violenti, bisognerà analizzare approfonditamente la situazione e il contesto di vita

Molto importante sarà l'allineamento tra scuola e famiglia, in modo che gli interventi siano sinergici. 

Tutto ciò servirà a indurlo a diventare un adulto rispettoso, capace di volersi bene e di instaurare relazioni sane con gli altri. Solo con un percorso di introspezione riconoscerà ed esprimerà con consapevolezza le proprie emozioni e i propri bisogni profondi.

 

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I consigli del cardiologo per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari

La cultura della prevenzione parte da giovani. Fumo e cibi grassi da evitare per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari. Ecco tutto quello che c'è da sapere.

La cultura della prevenzione per il cuore, il nostro motore portante, rappresenta una scelta che in molti casi, può salvare la vita. Secondo uno studio condotto qualche anno fa con l'istituto Superiore di Sanità e l'Associazione nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri, le malattie cardiache e l'ipertensione arteriosa - nella fascia d'età fra i 35 e i 75 anni, colpisce in Italia il 51% degli uomini e il 37% delle donne. Se poi si prendono in esame i dati dell'Ufficio di Statistica dell'Istituto Superiore di Sanità sulle morti per malattie cardiovascolari, si rileva che queste rappresentano il 40% di tutte le morti, con un tasso medio di 148 decessi per 100mila abitanti.

Cosa fare allora per prevenire le malattie del cuore, anche da giovani?

Lo abbiamo chiesto al cardiologo Gianluca Zingarini dell'ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, incontrato in occasione della presentazione degli screnning gratuiti che si terranno dal 23 al 25 giugno in Piazza IV Novembre. 

Qualche consiglio per prevenire le malattie cardiovascolari?

"Sicuramente determinanti, tal senso, sono l'alimentazione e l'attività fisica. Ridurre la quantità di grassi e soprattutto la quantità di sale nella dieta, produce un benessere fisico che è vantaggioso sotto questo punto di vista. Il sale, in particolare, per l'incidenza di ipertensione elevata nella popolazione generale e i grassi per le malattie cardiovascolari associate. L'attività fisica è quella che ci far star bene, ci fa pompare il cuore a una frequenza più lenta e permette di mantenere le arterie più larghe. Questo comporta di conseguenza bassa pressione, maggior irrorazione dei tessuti e quindi minor rischio di malattie legate al cuore". 

Quali sono i fattori scatenanti per questo tipo di malattie cardiovascolari?

"Il fumo è di certo uno dei fattori più pericolosi, che aumenta l'aggregarietà piastrinica e la formazione dell'alterosclerosi; l'alimentazione, come già ribadito, e lo stress, che è comunque un fattore concomitante. Quando siamo sottoposti a stress, aumenta il consumo di ossigeno, il cuore richiede più sangue per pompare con maggior forza e se noi abbiamo una coronaria ostruita, questo può comportare problemi, dall'angina all'infarto".

 

Quanto è importante la prevenzione nell'evitare l'insorgenza delle malattie cardiovascolari?

"Abbiamo i fattori di rischio modificabili, come ad esempio il nostro stile di vita e fattori di rischio non modificabili, come la genetica o l'ambiente e la società in cui viviamo. E' chiaro che se un soggetto vive in condizioni socio-economiche disagiate avrà un'alimentazione meno corretta rispetto a chi vive una condizione migliore. Oppure le popolazioni molto industrializzate come l'America dove c'è una scorretta alimentazione e quindi c'è una maggiore incidenza di malattie cardivascolari. Sottoporsi a dei controlli, soprattutto laddove non è possbile modificare i fattori di rischio, diventa dunque fondamentale".

A che età possono insorgere questo tipo di problematiche?

"Dai 35 ai 75 anni c'è una buona probabilità (per gli uomini circa il 50%, per le donne 37%) di sviluppare un fattore di rischio o una malattia cardiovascolare. In Umbria non abbiamo, dal punto di vista epidemiologico, dati allarmanti. Tutt'altro. Abbiamo una incidenza di malattie cardiovascolari lievemente al di sotto della media nazionale. Nella nostra Regione c'è un registro, Umbria FA, che raccoglie i dati della popolazione in cui c'è una diminuzione della tendenza rispetto al resto dell'Italia. Abbiamo anche una qualità d'aria migliore che permette di ossigenare meglio il cuore. Evitare cibi grassi comuque, sempre". 

A chi sono consigliati gli screning per la prevenzione delle malattie cardiovascolari?

"Dai 35 ai 75 anni, soggetti sani: è la fascia ideale. Un malato cardiopatico ha di solito alle spalle già un background medico. Quindi è consigliata a soggetti giovani, fumatori con una storia genetica di ipercolesterolemia, diabete o iperglicemia"

 

 

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I "no" sono indispensabili alla crescita di un bambino, ma spesso non riusciamo a dirli per paura

  • di ferirlo
  • di apparire indisponibili 
  • perché abbiamo timore del conflitto

Prima c'era l'educazione autoritaria ora la supremazia del figlio

L’ambito familiare non deve essere solo armonico e affettivo, con genitori e figli perfetti. Nel nel Novecento dopo secoli di relazioni familiari di prospettive  di garanzie , dove i figli  assicuravano la discendenza o il sostentamento economico.

I rapporti erano fondamentalmente regolati dal padre autoritario che puniva e stabiliva  i sì e i no:i bambini crescevano vessati e costretti dentro a no tassativi che generavano sensi di colpa o paura.

Finita l’epoca autoritaria, la prospettiva è diventata più materna: concentrata sulla cura, l’accudimento, il figlio posto al centro.

Si realizza una sorta di supremazia del figlio sul genitore, che per timore di ferire, procurare qualche danno allo sviluppo, ma anche soprattutto per timore del conflitto, compromettere la relazione con i figli, abdica al proprio ruolo educativo.

DIFFICILE dire “no” PERCHE' ABBIAMO PAURA DI

Far soffrire i nostri figli, confondendo sofferenza e frustrazione, magari dimenticando che ciò che può davvero ferirli è la sensazione e lo spaesamento di accorgersi che tutto quello che vogliono o chiedono è sullo stesso piano, indifferente, anche quando ha poco senso.

La percezione che non ci si mette in ascolto profondo dei bisogni del figlio se tendo a soddisfare indifferentemente tutti quelli che affermi di avere.

Oppure rischiamo, con questo atteggiamento di condiscendenza, di alimentare illusioni di onnipotenza  (come permettere una situazione non adeguata all'età ad es.) che nello sviluppo possono diventare davvero problematiche

Non si vuole apparire poco disponibile.

Siamo convinti che i figli abbiano bisogno di tutto il nostro tempo, mentre serve una misura alla disponibilità, che cambia con le diverse fasi della vita e che permette ai figli di fare la loro parte.

Las paura della separazione  può accadere risulti difficile separarsi, anche simbolicamente con un no, che però comporta un cambio di posizione, un distacco.

I genitori in difficoltà a reggere la propria posizione di adulti che indirizzano, rassicurano, regolano, influenzano, attribuiscono a queste azioni un effetto sul proprio figlio, derivano da una matrice infantile e li costringono a continuare a occuparsi di sé, delle proprie esperienze infantili nel tentativo di riscattarle e bonificarle.

 

La paura di entrare in conflitto col proprio figlio

E' faticoso affrontare le lamentele, le richieste estenuanti, i capricci, le tensioni, le urla, ma, al di là di questo, fanno fatica a gestire la solitudine che deriva dal dire no.

I conflitti implicano un elemento di

  • separazione
  • alterità 
  • distanza

che mette fine all’illusione di realizzare un’unità fusionale non conflittuale.

In realtà non li ascoltiamo per preservare l’equilibrio della relazione col rischio di non metterci in gioco. Dire no significa allora entrare in contatto, riconoscere che oltre a noi esiste anche l’altro. Ma il no è anche conflittuale: sostiene il rapporto e ne accetta le complicazioni, non rinunciandovi neanche in caso di contrasto.

Questi no servono a mantenere aperta la relazione con i figli senza subirla.

Si tratta di no che nascono da un progetto educativo chiaro, e condiviso, consentono di dare un’informazione precisa: “No, non è il momento …”, “No, questo non puoi farlo …”,

Il no ha una funzione regolativa e di indirizzo che si integra bene con la componente affettiva e di legame con i figli

La conflittualità, i litigi, ci permettono di accorgerci che il gioco sta funzionando e che noi genitori siamo al posto giusto.

 

LE DIVERSE FASI DELLA CRESCITA

I no che servono alla crescita Sono diversi a seconda dell’età

  • Nella prima infanzia il no è quello del divieto. Il bambino o la bambina comincia a esplorare il mondo e incontra pericoli o attiva comportamenti che vanno educati.  Questi no, detti in modo chiaro, immediato e rassicurante, aiutano i bambini a costruirsi una segnaletica nel loro muoversi nello spazio. Sono semplici non richiedono numerose  spiegazioni

 

  • Tra la prima e la seconda infanzia i no sono quelli del limite. Si tratta di un’età in cui progressivamente la centratura sul sé del bambino si evolve nelle relazioni tra i pari e nel rapporto con la realtà anche scolastica. In questa fase i no arginano e danno misura alle energie e alla sensazione di onnipotenza sul mondo. Sono no che producono frustrazione, fondamentali cogliere i limiti delle proprie possibilità e attivare risorse e competenze. Imparare a gestire la frustrazione che nasce dall’incontro con l’altro è una capacità fondamentale per il futuro.

 

  • Nella seconda infanzia e nella preadolescenza il no è quello della regola: la bussola per orientarsi nel mondo. Si tratta di un no che punta verso l’autonomia. Ogni volta che diamo una regola creiamo uno spazio di separazione e definiamo degli ambiti di esercizio della libertà, consentendo lo sviluppo dell’autonomi

 

  • Nell’adolescenza invece il no è quello della resistenza. È un no che serve ai ragazzi per scoprire e portare avanti il proprio progetto di vita. Si tratta di mettere filtri E vincoli,  perché la spinta verso l’autonomia non si tramuti in fuga da se stessi, ma anche di aiutarli ad accorgersi di ciò che davvero si sta facendo. È un no difficile e si manifesta spesso attraverso la conflittualità e richiede coraggio e capacità di interrogare e interrogarsi per mettersi davvero in ascolto dei nostri figli. Non possono più esserci “no” imposti o calati dall’alto ma una negoziazione e la capacità di lasciar andare.

Ciascuno è legato ai propri meccanismi di cui spesso non si accorge e di cui fatica a liberarsi.

Quante volte abbiamo la certezza che stiamo sbagliando eppure non riusciamo a fare diversamente?

Ogni volta che diciamo di no permettiamo ai bambini e ai ragazzi di cercare, di scoprire, di usare le loro risorse e lo stesso avviene per noi: utilizzare un no difficile ci attiva in prima persona, di metterci del proprio, di scardinare meccanismi e dinamiche poco funzionali all’educazione loro e all’evoluzione nostra.

Il no determina uno spazio tra noi e nostri figli che non possiamo controllare e conoscere.

Una separazione che è sinonimo di autonomia. Senza separazione, senza la distanza che deriva da una decisione educativa, i nostri figli non possono crescere e diventare grandi. Il no è un buon contributo a questo progetto!

COERENZA e strategie comunicative

Saper dire "no" è altrettanto importante che saper dire "sì",

Hanno una fondamentale funzione regolativa, entrambi sono essenziali alla crescita: grazie a essi infatti offriamo loro delle informazioni chiare che gli consentono di orientarsi nel mondo e regolare la propria condotta.

Comunicare CORRETTAMENTE

Strategie comunicative prescelte.Tanto i “sì” quanto i “no” possono essere pronunciati in maniera ESPRESSIVA rispettosa e pacata.

Può sembrare difficile mantenere il controllo espressivo in determinate situazioni, ma una voce calma ma ferma e decisa è assai più efficace di qualsiasi sgridata.

Perchè diamo al bambino la possibilità di ascoltare con attenzione ciò che diciamo, trasmettendo contemporaneamente tutta la serietà del messaggio mediante il tono di voce utilizzato.

Attenzione:  quello pronunciato deve essere sempre un “no” a uno specifico comportamento/richiesta, e mai alla relazione.

Salvaguardare il legame con il bambino, anche nelle situazioni di stress o di conflitto, permette di mantenere attivo quel collegamento a lui indispensabile per sentirsi compreso (pur se “ostacolato”) e di superare così la frustrazione momentanea, nella certezza di essere sempre amato.

Evitare gli eccessi

Se il bambino si sente rivolgere continui dinieghi si rischia di perderne il valore.

Non andrebbero detti “no”  in maniera automatica o arbitraria. Nella vita quotidiana la stanchezza, i ritmi frenetici e gli impegni non sempre consentono di avere il tempo per soffermarsi quanto necessario ad agire con la dovuta consapevolezza.

Si finisce così per porre più o meno forti divieti, che però spesso (magari a seguito delle insistenze del bambino e del senso di colpa da esse scaturito) finiscono per tramutarsi in breve tempo in concessioni.

Se l’adulto stesso non è sicuro delle ragioni del “no”, come può sostenerlo di fronte al bambino? Invece di rispondere in maniera automatica, sarebbe bene concedersi qualche istante e chiedersi: «Cosa mi spinge a dire di sì/no alla sua richiesta?».

A determinare la risposta dovrà essere non tanto l' accontentare il bambino, quanto un’ analisi del contesto, delle competenze di cui egli è in possesso e della eventuale, reale, pericolosità dell'azione.  

Meglio riservare il “no” per quei momenti in cui esso è davvero necessario.

Non temere le reazioni negative 

Non è possibile impedire che i bambini reagiscano in maniera negativa di fronte al no

MA  è possibile sostenerli nell’accettare il sentimento che ne deriva, utilizzando un linguaggio empatico, fermo ma rispettoso, mai aggressivo. 

A far mutare i “no” in “sì” e viceversa sarà la consapevolezza che il bambino ha compiuto dei progressi e può quindi gestire la situazione

 Prima di esprimersi è sempre bene che il genitore abbia un’idea chiara di ciò che può essere permesso e di cosa, invece, non può essere concesso.

In generale i genitori possono discutere di questo a priori, lavorando molto anche alla predisposizione dell’ambiente del bambino, affinché sia sicuro e a sua misura (limitando così la necessità di continui “no”).

È bene che i limiti stabiliti, per quanto possibile, siano mantenuti fissi nel tempo e condivisi da tutte le persone che si occupano di accudire il bambino

 

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Disturbi Specifici dell’Apprendimento: la Discalculia

All’interno dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento, con il termine Discalculia si intende il Disturbo Specifico del Calcolo, che riguarda l’area matematica.

Discalculia è codificata come «Disturbo specifico dell’apprendimento con compromissione del calcolo» e include, oltre alle difficoltà nel concetto di numero, memorizzazione di fatti aritmetici, calcolo accurato o fluente, anche le difficoltà nel ragionamento matematico corretto.

I bambini lavorano duramente per apprendere e memorizzare i processi di base della matematica, sapendo esattamente applicare le procedure senza capire, però, per quale motivo lo stanno facendo. In altre parole, manca la logica che sottende i processi matematici appresi al punto da non consentirne la replicazione.

I sintomi tipici della discalculia sono:

  • Difficoltà ad effettuare un conto alla rovescia
  • Scarsa capacità di effettuare stime
  • Difficoltà nel ricordare i numeri
  • Difficoltà nel capire il senso dei numeri
  • Lentezza nei calcoli
  • Difficoltà nelle procedure matematiche soprattutto quelle più complesse
  • Evitamento di attività legate alla matematica che sono percepite come particolarmente difficili
  • Scarse abilità aritmetiche mentali

Il bambino piccolo ha difficoltà nel contare e nell’attribuire numeri a oggetti, non riesce a riconoscere i simboli numerici, quindi non collega, a esempio, il 6 alla parola sei.

Inoltre, fatica a legare un numero a una situazione di vita reale, mostra difficoltà nel ricordare i numeri, soprattutto nel giusto ordine, stenta a ordinare gli elementi per dimensione, forma o colore ed evita giochi in cui è richiesto l’uso dei numeri, il conteggio e altri concetti matematici.

Durante la scuola primaria ha difficoltà a riconoscere i numeri e simboli, fatica nella riproduzione del calcolo di base, usa spesso le dita per contare invece di strategie mentali più sofisticate, non riesce a pianificare la soluzione di un problema di matematica, ha difficoltà a distinguere la sinistra dalla destra e ha uno scarso senso dell’orientamento. Ancora, ha difficoltà a ricordare i numeri di telefono e i punteggi ottenuti in un gioco e se può evita totalmente il gioco in cui è richiesto l’uso dei numeri.

Al liceo si sforza ad applicare, con fatica, i concetti matematici alla vita quotidiana, non riesce a misurare gli ingredienti di una ricetta, cerca strategie per non perdersi e usa tattiche per aggirare i problemi come l’uso di tabelle e grafici.

L’insorgenza del disturbo nella popolazione generale si aggira intorno al 5%, malgrado possa essere difficile effettuare una adeguata diagnosi perché spesse volte è confusa con le normali difficoltà in ambito di apprendimento.

Se è presente dislessia, col proseguire degli anni e della scolarità, si possono manifestare gravi difficoltà nella scolarizzazione, oltre a causare, in casi estremi, difficoltà nell’occupazione. Il 56 % dei bambini con un disturbo della lettura ha anche scarsa capacità nella matematica; il 43% dei bambini con deficit nella matematica hanno scarse capacità di lettura (Cornoldi e Mammarella, 1995).

La discalculia può manifestarsi in associazione a:

  • Dislessia: è stato scoperto che il 45% dei bambini con disabilità matematiche mostrano hanno anche problemi legati alla lettura
  • ADHD: i bambini con discalculia mostrano, in molti casi, anche l’ADHD, ma gli esperti raccomandano di valutare le competenze matematiche dopo aver tenuto sotto controllo i sintomi dell’ ADHD per confermare eventuali diagnosi di discalculia
  • L’ansia per la matematica: i bambini con ansia per la matematica sono così preoccupati per l’esecuzioni di procedure matematiche al punto da avere paura eccessiva in concomitanza delle prove. Questa paura può portare a scarse prestazioni nei test di matematica, con conseguente abbassamento dell’autostima e del tono dell’umore. In questo caso possono esserci ripercussione nel gruppo dei pari e in casi estremi possono portare all’evitamento e al ritiro sociale.
  • Malattie genetiche: la discalculia è associata a diverse malattie genetiche tra cui la sindrome dell’X fragile, la sindrome di Gerstmann e la sindrome di Turner (Ianes, Lucangeli, e Mammarella, 2010)

Uno dei programmi per il trattamento più adoperati a livello internazionale è il Programma di Arricchimento Strumentale di Feuerstein che si prefigge come obiettivi fondamentali l’arricchimento del repertorio individuale delle strategie cognitive necessarie per l’apprendimento e il recupero delle funzioni cognitive carenti (Feuerstein e coll., 2008).

In particolare, per favorire un miglior approccio all’apprendimento numerico, Butterworth e Yeo (2011) suggeriscono l’utilizzo di materiali specifici, come blocchi che rappresentano i valori in base 10, monete, piste numeriche, metri rigidi, con l’aggiunta dell’uso della calcolatrice, strumento che riduce il carico della memoria di lavoro, pur non dovendosi però ritenere sostitutivo di un adeguato programma di stimolazione delle competenze, come prima esposto. Vi sono poi da considerare le ricadute negative della discalculia, così come anche per gli altri Disturbi Specifici dell’Apprendimento, sull’autostima e sull’umore, il rifiuto della scuola o i comportamenti ostili: ecco perché la psicoterapia assume un’importanza fondamentale nel trattamento.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale, a questo scopo, fornisce un valido supporto, stimolando la valutazione realistica dei propri mezzi e delle difficoltà dei compiti proposti, focalizzandosi sulla regolazione dell’autostima e dell’aggressività, cause frequenti della demotivazione scolastica, e prevedendo il coinvolgimento della famiglia

(Terzocentro di psicoterapia cognitiva, 2016).

 

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Il sintomo evidente è un'evacuazione scarsa o insufficiente delle feci. Si parla però di stitichezza solo in caso di un'evacuazione interrotta per un arco di tempo di almeno tre giorni.

Cause

La stitichezza o stipsi può essere dovuta a molteplici cause, infatti di solito è indicata come sintomo da ricondurre sempre a un disturbo su cui è bene indagare. Esistono test come la manometria anorettale, la defecografia, le metodiche neurofisiologiche.  

A livello emotivo la stitichezza è ricollegabile a una tensione che spinge a trattenere sempre e comunque emozioni. Alcuni psicoterapeuti rimandano sia questo disturbo che il suo opposto, la diarrea, al rapporto con la madre

 La stitichezza può essere riconducibile a fattori ormonali (ipotiroidismo), gastrointestinali, o può esser data dall'azione di alcuni farmaci. Si dice idiopatica la stipsi che non è collegabile a nessuno di questi fattori. La stipsi idiopatica può derivare da un colon che non riesce a spingere la massa fecale e rallenta il transito.

Diagnosi

L'obiettivo della diagnosi è quello di studiare il tempo del transito intestinale in coloro che accusano rallentamento del cammino del materiale fecale. 

L'approccio diagnostico primario prevede l'esecuzione di tecniche di più facile applicabilità ed affidabilità per escludere una patología organica colica o anorettale:

  • Rx addome diretto
  • Ecotomografia addominale
  • Rx clisma opaco
  • Colonscopia

Successivamente si può ricorrere a tecniche più sofisticate, in caso di risultati dubbi.

CURE NATURALI CONTRO LA STITICHEZZA

La prima cosa da correggere è il regime alimentare: bisogna privilegiare un’alimentazione ricca di semi di lino, cereali integrali, legumi, semi oleosi, frutta e verdura di stagione a scapito di alimenti confezionati o un eccesso di proteine animali. 

Per facilitare il transito intestinale occorre aumentare l’apporto di fibre, che si ottiene facilmente preferendo cibi come i cereali integrali alle farine raffinate (pasta bianca e pane bianco).

Anche l'assunzione di alimenti ricchi di prebiotici naturali, quali cipolle, asparagi, carciofi, frumento, soia, porri, banane, aglio, cicoria e indivia belga, aiuta contro la stitichezza, contribuendo a riequilibrare la flora intestinale.

Variare i cereali utilizzando anche farro, orzo e riso integrale ci permette di sfruttare le qualità dei chicchi non solo per le fibre ma anche per le proprietà lenitive e decongestionanti che hanno sulle mucose intestinali.

E’ necessario poi che nell’organismo ci sia un buon livello di idratazione bevendo regolarmente e introducendo ai pasti verdure ricche di acqua di vegetazione (vari tipi di insalate a foglia verde, indivia, cetrioli, finocchi). I frutti da preferire sono quelli ad azione lassativa come kiwi, mela con la buccia, pera matura e prugne secche.

Va inoltre stimolato il fegato con verdure amare (cicoria, cime di rapa, puntarelle, carciofi, ortiche, radicchio) non bollite ma ripassate in padella con aglio e olio extravergine di oliva.

Nella stipsi cronica è utile bere la mattina a digiuno una soluzione di acqua, limone e miele che si prepara sciogliendo un cucchiaio di miele in 100ml d’acqua in cui si aggiungerà il succo di mezzo limone.

 

Omeopatia

In omeopatia i rimedi adottati più di frequente per la stitichezza sono molteplici e dipendono dal tipo di stipsi. Se si tratta di stitichezza senza stimolo, se con evacuazione insoddisfacente, se difficoltosa, se legata a condizioni particolari (in viaggio o per ragioni ambientali). Ad ogni modo è necessario individuare il trattamento omeopatico di fondo: Graphites, Lycopodium, Silicea. 

 Esercizi

L’attività fisica per chi soffre di stitichezza è fondamentale. Mettersi in moto significa anche rimettere in moto le funzionalità intestinali. Sono sufficienti 20 minuti di camminata. La respirazione guidata è già un perfetto massaggio viscerale. Come tecnica di autoterapia, potete praticare l’automassaggio addominale. Prendete anche confidenza con il movimento del pavimento pelvico attraverso esercizi di consapevolezza corporea.

Lo yoga è ottimo in caso di stipsi. Urdhva padmasana in sarvangasana (posizione della candela in fiore di loto) migliora la digestione e tonifica gli addominali. Anche Parsva halasana (aratro con le gambe di lato) è utile in caso di costipazione. Jathara parivartasana genera un grande afflusso di sangue a livello di stomaco, fegato e milza.


 

 

 

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Distinguere disortorgrafia, disgrafia e disprassia

Nel diagnosticare una disortografia è importante differenziarla da altri Disturbi Specifici dell’Apprendimento quali la disgrafia e la disprassia.

La disortorgrafia è un deficit che riguarda lo scarso controllo ortografico.

La disgrafia è un deficit esclusivamente grafico, di riproduzione di segni alfabetici e numerici. Essa può talvolta essere legata ad un disturbo della coordinazione motoria o secondaria ad una lateralizzazione incompleta.

La disprassia consiste invece in un deficit nella coordinazione dei gesti automatici e volontari, che può influenzare anche il modo di apprendere di un bambino a scuola.

Secondo il DSM IV la disprassia solitamente rientra nella classificazione dei Disturbi della Coordinazione Motoria, che colpiscono il 6% della popolazione infantile tra i 5 e gli 11 anni, comportando goffaggine, problemi nell’organizzare il lavoro e nel seguire delle istruzioni.

La disprassia è caratterizzata dalla non corretta esecuzione di una sequenza motoria che risulta alterata nei requisiti spaziali e temporali, risultando in un’attività motoria che può essere del tutto inefficace e scorretta, nonostante siano integre le funzioni volitive, la forza muscolare e la coordinazione.

Le ricerche finora condotte suggeriscono che la disprassia sia imputabile a un’ immaturità dello sviluppo neuronale del sistema nervoso centrale.

 

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Disturbi endocrini

Il sistema endocrino è costituito da un gruppo di ghiandole e organi che regolano e controllano le diverse funzioni dell’organismo attraverso la produzione e la secrezione di ormoni.

Gli ormoni sono sostanze chimiche che influenzano l’attività di un’altra parte del corpo.

In pratica, agiscono come messaggeri che controllano e coordinano le attività in tutto l’organismo.

I disturbi endocrini sono determinati da una di queste situazioni:

  • Una secrezione eccessiva di ormoni (chiamata “iper”-funzionalità)
  • Una secrezione insufficiente di ormoni (chiamata “ipo”-funzionalità)

I disturbi possono avere origine da un problema della stessa ghiandola oppure da una stimolazione eccessiva o insufficiente da parte dell’asse ipotalamo-ipofisario (interazione di segnali ormonali tra l’ipotalamo e l’ipofisi).

A seconda del tipo di cellula da cui hanno origine, i tumori possono produrre ormoni in eccesso oppure distruggere il tessuto ghiandolare sano, riducendo la produzione di ormoni.

A volte, il sistema immunitario dell’organismo attacca una ghiandola endocrina (una patologia autoimmune), riducendo la produzione di ormoni.

Esempi di disturbi endocrini sono:

  • Ipertiroidismo
  • Ipotiroidismo
  • Malattia di Cushing
  • Morbo di Addison
  • Acromegalia
  • Bassa statura nei bambini
  • Diabete
  • Disturbi della pubertà e della funzione riproduttiva

Di solito, vengono misurati i livelli degli ormoni nel sangue per controllare il grado di funzionalità di una ghiandola endocrina. Talvolta i soli livelli nel sangue non forniscono sufficienti informazioni circa la funzione di una ghiandola endocrina; di conseguenza, il medico misura i livelli ormonali:

  • In determinati momenti della giornata o più di una volta al giorno o a diversi orari del giorno (come il cortisolo)
  • Dopo la somministrazione di uno stimolo o di un soppressore (come una bevanda zuccherata, un farmaco o un ormone in grado di scatenare o bloccare il rilascio di altri ormoni)
  • Dopo aver istruito la persona a compiere un’azione (come digiunare)

I disturbi endocrini vengono spesso trattati sostituendo l’ormone che manca o riducendo i livelli eccessivi di un ormone.

Tuttavia, a volte può essere trattata la causa del disturbo. Ad esempio, può essere asportato un tumore che interessa una ghiandola endocrina.

 

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Gli acari della polvere sono nemici della pelle responsabili della dermatite. Scopri come difenderti dalla loro azione irritante.

La soluzione contro gli acari della polvere.

Quando pensiamo alla polvere di solito la associamo al concetto di sporco, ma difficilmente riflettiamo sui pericoli per la salute a cui ci espone. Facciamo un esempio: la dermatite. Ne sai qualcosa? Si tratta di una fastidiosa, imbarazzante e certamente antiestetica allergia cutanea che si manifesta con i seguenti sintomi:

  • Pelle che tira e prude
  • Formazione di eczemi
  • Formazione di mini ragadi sulla pelle, piccole ferite che si aprono senza causa apparente su una cute particolarmente secca e desquamata (ad esempio tra e dita o sui polpastrelli)
  • Eruzione di bolle e vescicole sierose
  • Pelle arrossata, arida e desquamata. Questa anomalia può manifestarsi anche sul cuoio capelluto e quindi favorire la formazione di forfora accompagnata da forte prurito

 

Ti suona familiare? Magari non ci hai fatto granché caso, oppure hai attribuito i sintomi che ti abbiamo descritto a cause tra le più svariate. Per esempio potresti aver pensato di dover sostituire i prodotti per l’igiene e la cura della persona. In profumeria potresti aver speso una fortuna in detergenti non schiumogeni, in creme idratanti e oli nutrienti. Nonostante questo potresti aver ottenuto solo un piccolo, momentaneo sollievo. Perché i problemi dermatologici potrebbero essere tornati. Allora potresti aver provato a indossare abiti di fibre naturali, oppure aver cambiato dieta, o infine… potresti aver deciso di farti visitare dal medico e uscirne con in mano una ricetta per pomate al cortisone e prodotti antistaminici.

A quel punto la cosa da capire è una sola: che la pelle che tira e si desquama, le piccole ferite che fanno male - un po’ come quando ti tagli con la carta affilata -, il prurito che talvolta diventa insopportabile, la forfora, quelle chiazze rossastre e le bollicine che sembrano proprio quelle dell’orticaria, sono il  sintomo di una reazione allergica di tipo infiammatorio.

Ma a quale allergene? Probabilmente al più vicino e insospettabile: potrebbero essere gli acari della polvere a provocarti quella dermatite che non passa. Trattasi di minuscoli insetti che comunemente troviamo in tutte le abitazioni, persino in quelle pulite e disinfettate come la tua. Essi prosperano proprio nei confortevoli ambienti domestici, tra i mobili e i ninnoli di cui ti circondi, perché “amano” il tessuto del tuo divano e le lenzuola del tuo letto, ma anche i pelucchi dei tuoi abiti negli armadi e i peluche dei tuoi bambini. Ancor di più amano noi, abitanti della casa, dal momento che si nutrono dei residui di cute che lasciamo ovunque.

A scatenare i tuoi anticorpi sono però le proteine che si sprigionano dai loro invisibili corpi in decomposizione. Ed ecco la dermatite. Sì, fa un po’ impressione. Ma la verità è che liberarsi di questi malefici animaletti è possibile, sebbene non con i mezzi tradizionali. Non bastano scopa e straccio, aspirapolvere o battitappeto, non è neppure sufficiente cambiare arredamento ed eliminare un po’ di suppellettili su cui la polvere si possa inevitabilmente posare. Sebbene, va detto, si tratta di accorgimenti utili.

Prima di rivelarti una soluzione davvero utile per la tua dermatite e per la tua pelle delicata, proviamo a suggerirti anche altre misure anti-acaro:

  • Usa biancheria per la casa specificatamente antiallergica soprattutto lenzuola, copri-federa e coprimaterasso del tuo letto e di quello dei bambini
  • Controlla, pulisci e sostituisci regolarmente i filtri dei condizionatori d’aria di casa
  • Arieggia di frequente gli ambienti
  • Non stipare le camere di oggetti, e quanto ai libri e ai giochi dei tuoi bambini, ricordati di spolverarli spesso
  • Occhio ai tappeti, alla moquette e alle guide di scale e corridoi, sono veri ricettacoli di acari. Perciò limitane l’uso o eliminali del tutto
  • Se usi dei foulard e dei rivestimenti per poltrone in tessuto, ricordati di lavarli spesso in lavatrice

E infine… ecco la soluzione che potrà permetterti di ripulire l’atmosfera domestica da tutti gli acari che si possono annidare anche laddove non avresti pensato: un purificatore per l'aria dotato di filtri HEPA che possa catturare ed eliminare anche le particelle e i corpuscoli di dimensioni microscopiche, potenziali agenti inquinanti e allergeni sospesi nell’atmosfera. Insomma, tutto ciò che va a costituire il pericoloso inquinamento indoor. 

Niente più acari, niente più prurito, pelle desquamata, eczemi e forfora.

 

PER SAPERNE DI PIU'

http://www.poliambulatorioes.it/32/specialita/dermatologia

http://www.poliambulatorioes.it/26/specialita/allergologia

 

 

12 campanelli d'allarme per le donne

L'American Society of Clinical Oncology (ASCO) ha stilato un elenco di "campanelli d'allarme" riservato alle donne per orientarsi tra giusto allarme per disturbi anche banali e il rischio di sopravvalutare determinate sensazioni e di angosciarsi per nulla.

Si sa, e lo dimostrano anche le indagini epidemiologiche, che le donne tendono a essere più attente degli uomini in materia di prevenzione. Si sottopongono con maggiore frequenza ai controlli necessari e, soprattutto, hanno una certa dimestichezza nel riconoscere i segnali precoci che il corpo manda quando qualcosa non va.

In un delicato equilibrio tra giusto allarme per disturbi anche banali, ma che non passano, e il rischio di sopravvalutare determinate sensazioni e di angosciarsi per nulla, l'American Society of Clinical Oncology (ASCO) ha stilato un elenco di "campanelli d'allarme" riservato alle donne. Non si tratta solo di segni legati a tumori tipicamente femminili, ma anche di neoplasie che, purtroppo, sono in aumento anche nel gentil sesso, come il cancro del colon o del polmone.

La raccomandazione di base è di non farsi prendere dal panico: quelli che vengono descritti sono sintomi comuni a moltissime malattie, la maggior parte delle quali benigne. Dare loro ascolto, andando dal medico, può essere una semplice ricetta che consente di restare a lungo in salute.

  1. Perdita di peso immotivata
  2. Gonfiore addominale
  3. Cambiamenti a carico del seno
  4. Perdite di sangue tra due cicli
  5. Alterazioni della pelle
  6. Sanguinamenti non comuni
  7. Se cambia qualcosa in bocca
  8. Dolore
  9. Linfonodi ingrossati
  10. Febbre persistente
  11. Stanchezza
  12. Tosse persistente

1. Perdita di peso immotivata

La maggior parte delle donne potrebbe essere davvero felice di perdere peso senza ragione e, soprattutto, senza fatica. Rimane il fatto che se fluttuazioni di piccola entità sono normali e possono dipendere da fattori stagionali, ormonali o persino emotivi, legati allo stress, un dimagrimento di cinque o più chilogrammi in un mese (o del cinque per cento del proprio peso in sei mesi, o meno) in assenza di una dieta o di un aumento sostanziale dell'esercizio fisico merita una visita di controllo. Le cellule cancerose sono infatti dotate di un metabolismo molto attivo e un aumentato consumo energetico da parte dell'organismo è un segno che qualcosa non va per il verso giusto. Attenzione però: prima di pensare a un tumore, bisogna escludere altre patologie più comuni, come un disturbo della tiroide (molto frequente nel sesso femminile) oppure una patologia gastrointestinale che interferisce con l'assorbimento delle sostanze nutritive.

Per accertarsene il medico potrà prescrivere alcuni esami del sangue, che verificheranno la presenza di carenze, di anemia o di infiammazione in corso. Inoltre verranno valutati i livelli degli ormoni tiroidei. Solo se gli esami del sangue non saranno risolutivi e se la perdita di peso continuerà ad aumentare, il medico ricorrerà a esami strumentali come ecografie, radiografie e TC.

Alcune domande sulla perdita di peso

Prima di attribuire una perdita di peso immotivata a un fenomeno neoplastico, il medico indagherà alcuni aspetti importanti che possono spiegare il fenomeno. È bene, prima della visita, essere pronti a rispondere alle seguenti domande:

  • Ha problemi dentali? Le persone con problemi di denti o gengive possono ridurre improvvisamente e inconsapevolmente il loro consumo di cibo.
  • Ha disturbi gastrointestinali come vomito o diarrea?
  • È molto stressata? Ci sono stati cambiamenti importanti nella sua vita negli ultimi tempi?
  • Sta mangiando come prima? Di meno? Diversamente?
  • Ha cominciato a fumare? Ha aumentato il numero delle sigarette? Ha aumentato il suo consumo di alcol?
  • Ha altri sintomi concomitanti?

La maggior parte delle donne convive costantemente col gonfiore addominale, che segue andamenti periodici legati all'alimentazione e alle fasi del ciclo. Eppure la pancia molto gonfia, specie se accompagnata da dolore addominale o pelvico sembra essere uno dei pochi segni indicatori della presenza di un tumore ovarico in fase iniziale. Altri elementi che caratterizzano questa malattia sono la sensazione di pienezza anche dopo aver consumato pochi bocconi di cibo e difficoltà urinarie, come il bisogno di correre in bagno più spesso del solito, oltre a un'aumentata circonferenza addominale in assenza di un aumento di peso.

Ovviamente questo quadro sintomatologico deve persistere per tutto il giorno e per alcune settimane di seguito prima di meritare un controllo medico.

Nel 2007, uno studio uscito sul British Medical Journal e recepito dalle linee guida dell'American Cancer Society ha dimostrato che basandosi su questa breve lista è possibile anticipare la diagnosi di carcinoma ovarico rendendo più efficienti le terapie in un tumore che è ancora tra i più temuti. Anche in questo caso le società scientifiche raccomandano di non andare nel panico: è possibile che gli stessi sintomi siano il segnale di malattie molto più benigne, come il colon irritabile. In ogni caso, a dirimere ogni dubbio spesso basta un'ecografia addominale. Il ginecologo interpellato, oltre all'ecografia addominale, procederà probabilmente con un esame della pelvi e con un'ecografia transvaginale. Inoltre potrà richiedere, tra gli esami del sangue, anche la misurazione di eventuali marcatori tumorali. Solo in caso di dubbi ulteriori si procederà con una TC addominale o con una risonanza magnetica.

Quattro consigli per non preoccuparsi troppo

  • Tutte le donne hanno questi sintomi di tanto in tanto e solo molto raramente sono dovuti a un carcinoma ovarico. Quasi sempre sono provocati da questioni banali e passeggere.
  • Impara ad ascoltare il tuo corpo. Vai dal medico solo quando hai uno o più sintomi ogni giorno per molte settimane e soprattutto se sono inusuali, cioè se non si sono mai presentati prima.
  • Sapere che cosa osservare è utile, consente di rivolgersi al medico quando ce n'è davvero bisogno.
  • Non è necessario precipitarsi dal medico al primo manifestarsi dei disturbi: qualche settimana di osservazione non cambia la prognosi e permette, nella maggior parte dei casi, di assistere alla naturale scomparsa dei disturbi senza sottoporsi a esami inutili.
    (dalle raccomandazioni della Gynecologic Cancer Foundation)

3. Cambiamenti a carico del seno

La maggior parte delle donne conosce bene la conformazione del proprio seno anche quando non ha l'abitudine (peraltro molto utile) di praticare l'autopalpazione. Gli esperti segnalano però un'eccessiva attenzione alla presenza di noduli e formazioni solide e una scarsa attenzione ad altre manifestazioni che possono essere indicative di un cancro del seno come un arrossamento persistente della cute in una determinata zona della mammella e un ispessimento della pelle (che talvolta assume il tipico aspetto a buccia d'arancia). In ambedue i casi questi sintomi potrebbero essere un segnale di una forma di neoplasia con una forte componente infiammatoria.

Anche cambiamenti a carico del capezzolo meritano una visita dal medico: modifiche della forma (retrazioni o protrusioni inusuali), così come la perdita di sangue, siero o latte (ovviamente in un momento in cui non si sta allattando) vanno verificate con un esperto. Questi procederà a esaminare il seno al tatto, farà alcune domande riguardanti la salute della donna in generale e il suo stato ormonale in particolare. In caso di perdite dal capezzolo vengono richiesti anche alcuni esami del sangue, tra i quali la misurazione della prolattina, un ormone che stimola la produzione di latte e che può aumentare anche in alcuni tumori benigni o in seguito ad alcune terapie farmacologiche.

In caso di sospetto, il medico prescriverà, a seconda dell'età e del sintomo una mammografia (che tra i 50 e i 70 anni andrebbe fatta periodicamente anche in assenza di disturbi) o un'ecografia del seno.

Se nel seno c'è un nodulo

Sentire qualcosa sotto le dita quando si palpa il seno è sempre un elemento di ansia per una donna. Eppure i cosiddetti "noduli" non sono, nella maggior parte dei casi, sintomi preoccupanti. Come spiegano le linee guida della Società italiana di senologia, molto dipende dall'età di comparsa della formazione. Fra i 20 e i 30 anni sono molto comuni i fibroadenomi, duri e fibrosi, dovuti alle variazioni ormonali tipiche dell'età. Possono essere dolorosi, specie in alcune fasi del ciclo, e regrediscono o diminuiscono con le gravidanze e l'allattamento. Fra i 30 e i 50 anni, invece, sono comuni le cisti sierose, costituite da una capsula contenente liquido. Il medico esperto è capace, già alla palpazione, di distinguere una formazione benigna da una maligna. La prima in genere si muove se spostata con i polpastrelli, mentre una formazione maligna rimane aderente al piano sottostante. Inoltre fibroadenomi e cisti hanno un contorno regolare, mentre spesso le neoformazioni maligne hanno bordi irregolari.

4. Perdite di sangue tra due cicli

Qualsiasi perdita di sangue al di fuori delle mestruazioni merita un controllo ginecologico, a qualsiasi età. In particolare è bene farsi controllare se il ciclo è già scomparso, quindi se la donna è già in menopausa.

Le donne più giovani tendono a non preoccuparsi per questo tipo di disturbo che, se nella stragrande maggioranza dei casi è dovuto a variazioni ormonali fisiologiche, talvolta può essere un segnale della presenza di endometriosi (l'anomala proliferazione di tessuto tipico del rivestimento interno dell'utero al di fuori della sua sede naturale) o di cancro dell'endometrio. È possibile assistere a sanguinamenti anomali anche in presenza di cancro della cervice uterina.

Il ginecologo, in questi casi, procede a una normale visita, esegue un'ecografia di controllo e spesso anche un Pap-test, per controllare lo stato delle cellule cervicali.

Molte possibili cause

Il sanguinamento tra due cicli non è un evento raro e molte possono essere le cause non oncologiche di tale fenomeno. Ecco le più comuni:

  • infiammazione della cervice uterina (cervicite);
  • polipi cervicali;
  • infezioni sessualmente trasmissibili;
  • lievi abrasioni della parete vaginale dopo rapporti sessuali.

5. Alterazioni della pelle

Come ben sanno le donne, la pelle, specie quella del viso e delle altre parti del corpo esposte alla luce solare, subisce continui cambiamenti. E se tutti abbiamo ormai imparato a dare peso alle modificazioni dei nei, poche si preoccupano di cambiamenti nella pigmentazione della cute o nel suo aspetto. Se è eccessivamente arrossata in un punto preciso, o desquama, allora è possibile che la causa sia un tumore della pelle diverso dal melanoma, come il basalioma o il carcinoma spinocellulare. Per fortuna si tratta di forme maligne a bassissima invasività, che nella stragrande maggioranza dei casi si asportano senza bisogno di ulteriori cure. Gli esperti si sono però chiesti per quanto tempo è necessario che perduri l'alterazione prima di rivolgersi al medico: non c'è una risposta univoca, anche se tutti concordano nel dire che se si superano le 6-8 settimane è necessario consultare un dermatologo.

Tre diverse forme

Come riconoscere alla vista i diversi tipi di tumori della pelle? Ecco qualche indicazione molto generale.

Basalioma:

  • è un piccolo rigonfiamento di colore bianco perlaceo;
  • in alternativa si presenta come una lesione tipo escoriazione, piatta, bruna.

Carcinoma spinocellulare:

  • può essere un nodulo rosso e duro;
  • talvolta è una lesione squamosa, piatta, arrossata.

Melanoma:

  • può essere un neo bruno con puntini più scuri all'interno;
  • può essere un neo che ha cambiato colore, forma o misura, oppure che sanguina spontaneamente;
  • può essere una piccola lesione con bordi irregolari e un insieme di colori che vanno da bruno al rosso, al blu;
  • può essere una macchia scura e circoscritta sul palmo della mano o sulla pianta del piede, all'interno delle mucose della bocca o delle grandi labbra.

6. Sanguinamenti non comuni

Perdere sangue (tranne ovviamente durante il ciclo mestruale) è sempre un segno di qualcosa che non va. E se la perdita ematica con le feci, specie se rossa, è quasi sicuramente dovuta a emorroidi infiammate (ma merita, almeno fino alla diagnosi, un controllo più approfondito), la presenza di sangue nelle urine richiede un esame delle stesse e un'ecografia renale.

Nel primo caso il sangue potrebbe nascondere un cancro del colon, in costante aumento anche tra le donne perché legato a scorrette abitudini di vita. In questo caso è spesso utile ricorrere alla ricerca del sangue occulto nelle feci anche se si è al disotto dei 50 anni di età, momento a partire dal quale questo esame è consigliato pur in assenza di sintomi. La tappa successiva è l'ecografia addominale o più spesso, la colonscopia, che permette di fugare ogni dubbio. L'esame delle urine e l'eventuale analisi di cellule epiteliali staccatesi dalla parete della vescica permette di diagnosticare eventuali infezioni e di escludere un cancro della vescica. L'ecografia renale studia invece l'intero decorso dell'apparato urinario e può mettere in luce anche la presenza di calcoli renali.

7. Se cambia qualcosa in bocca

A volte ad accorgersene è solo il dentista: una piccola piaga all'interno della mucosa della bocca, un "brufolo" sulla lingua, una escoriazione delle gengiva… Quando questi disturbi non scompaiono nel giro di qualche giorno o con trattamenti disinfettanti o spennellature apposite, allora è il caso di farsi controllare da un medico.

I tumori della bocca sono infatti in aumento tra le donne anche a causa dell'abitudine al fumo e dell'incremento nel consumo di alcol e superalcolici. Individuare precocemente un'alterazione della mucosa o della gengiva (per esempio una leucoplachia, che costituisce una forma precancerosa relativamente semplice da trattare) consente di evitare cure invasive, chirurgie demolitive e gravi difficoltà conseguenti.

Per questa stessa ragione è buona norma sottoporsi annualmente a una visita dal dentista, che provvederà anche a esaminare tutto il cavo orale.

8. Dolore

Si dice sempre che se fa male, non è un cancro. Una voce popolare non priva di fondamento che però non tiene conto di alcuni casi nei quali un dolore sordo e persistente può essere un campanello d'allarme per una malattia neoplastica. Il dolore osseo, specie alla schiena, merita sempre un approfondimento se non scompare nel giro di qualche settimana o con l'aiuto di farmaci antinfiammatori.

Il dolore è un sintomo molto complesso da inquadrare, come ben sanno i medici, poiché può avere molte cause. Ciò non significa che non sia necessario indagare approfonditamente, anche solo per non trascorrere troppo tempo in sofferenza, senza poter accedere alla terapia corretta.

9. Linfonodi ingrossati

È bene ricordare che, quando si nota un linfonodo ingrossato, nella maggioranza dei casi la causa del disturbo è infettiva. Questi piccoli noduli posti nelle intersezioni strategiche del corpo umano (alla base del collo, sotto le ascelle, nell'inguine, nel torace tra i due polmoni) hanno infatti il compito principale di filtrare gli agenti infettivi e favorire la produzione di anticorpi in grado di combatterli.

Trovare un linfonodo ingrossato è quindi un'evenienza piuttosto comune. I linfonodi sono anche importanti in un gran numero di malattie autoimmuni, come il lupus eritematoso sistemico, e ciò proprio per il loro ruolo di sentinelle del sistema immunitario.

Quando bisogna preoccuparsi? Secondo gli esperti dell'ASCO, bisogna far valutare dal medico qualsiasi linfonodo che non diminuisca di volume nel giro di una decina di giorni. Inoltre se un linfonodo continua ad aumentare di volume, è necessaria una ecografia di controllo ed eventualmente una biopsia. I linfonodi possono aumentare di volume sia per neoplasie del sistema linfatico stesso (come le leucemie) sia per invasione da parte di cellule maligne provenienti da neoformazioni di organi vicini.

10. Febbre persistente

La febbre non è un sintomo tipico delle malattie oncologiche, almeno in fase iniziale: è più comune nelle forme metastatiche e per questo in genere non la si considera allarmante. Nonostante ciò è possibile che in alcuni casi un tumore alteri i sistemi di controllo della temperatura corporea. Può accadere, per esempio, nel caso di tumori del fegato e del pancreas.

11. Stanchezza

Una stanchezza anomala che perduri a lungo può essere provocata da carenze nutrizionali o da anemia. Ma anche l'anemia stessa è un sintomo che può fungere da campanello d'allarme per una malattia oncologica. Ecco perché qualsiasi senso di spossatezza che duri oltre due settimane in assenza di una malattia o di una situazione oggettiva che lo giustifichi deve essere riferita al medico, che valuterà la necessità di procedere con altri esami.

12. Tosse persistente

La tosse persistente è tipica del fumatore e proprio per questa ragione è di scarsissima utilità nella diagnosi precoce del tumore del polmone. È talmente frequente che un fumatore soffra di infiammazioni dei bronchi da rendere pressoché inefficace il naturale campanello d'allarme costituito dalla tosse. C'è però una caratteristica che deve spingere tutti, fumatori compresi, a fare un ulteriore controllo ed eventualmente, su prescrizione del medico, una radiografia del torace: se la tosse è secca, dura da settimane o mesi e se si presenta in piccoli accessi circoscritti, per pochi minuti al giorno.

 

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L’importanza del collagene per la salute e la bellezza

Si sente spesso parlare di collagene. Ma non tutti sanno cosa sia effettivamente questa portentosa sostanza, anche perché vige ancora l’erronea credenza che il collagene sia un’entità “esterna” rispetto all’organismo.

Il collagene invece è prodotto naturalmente dal nostro corpo. Anzi, si tratta di una delle proteine più presenti nell’organismo, che svolge un ruolo molto importante per la salute e la bellezza.

Scopriamo insieme le sue funzioni principali e come farne scorta.

IL RUOLO DEL COLLAGENE

Utilizzato come rimedio in caso di ustioni gravi della pelle e impiegato anche in medicina estetica come riempitivo, il collagene è una proteina fondamentale perché fornisce la struttura al nostro tessuto connettivo: in sostanza lo “sorregge”, costituendo così il supporto di ossa, muscoli, tendini e legamenti.

Seppur prodotto naturalmente dall’organismo, però, questa fondamentale proteina si può assumere sia a livello sistemico (integratori), sia a livello topico (per esempio, attraverso creme e sieri che lo contengano in buone quantità).

DOVE SI TROVA

Per fare il pieno di collagene attraverso la dieta, si può puntare sulla carne (brodo di ossa e pelle, per esempio), sull’albume dell’uovo e su alcuni vegetali, tra cui i funghi. Anche la vitamina C ricopre un ruolo cruciale nella produzione di collagene, favorendola e potenziandola.

D’altro canto, vi sono alcuni alimenti che invece ostacolano la sintesi di collagene, come gli zuccheri e i carboidrati raffinati.

Esiste, infine, anche il cosiddetto “collagene marino”, o colla di pesce. Quest’ultima viene usata solitamente come addensante nella preparazione di dolci (budini, cheesecake) e antipasti (gelatine). Una sua versione vegetale è l’agar-agar (polisaccaride naturale ricavato dalle alghe).

 

IL COLLAGENE E LA PELLE

Una buona produzione di collagene mantiene la pelle morbida, liscia e giovane. Infatti, questa proteina è indispensabile per fornire sostegno ai tessuti connettivi e per prevenire, dunque, anche rughe, cedimenti e segni del tempo.

La produzione naturale di collagene, però, non rimane costante con il passare degli anni. Anzi, già a partire dai 25 anni di età si assiste a una diminuzione della produzione della proteina, a cui consegue un progressivo indebolimento e cedimento della struttura dell’epidermide.

È come se le fondamenta piano piano cedessero, causando crepe e avvallamenti.

Gli effetti del calo fisiologico di produzione di collagene si manifestano con la formazione di rughe e segni della cute, nonché con contorni meno definiti e tonici.

 

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Soli, vulnerabili, a rischio depressione. Secondo una nuova ricerca americana smartphone e social media hanno radicalmente cambiato ogni aspetto della vita degli adolescenti causando una delle peggiore crisi di salute mentale degli ultimi decenni. "Effetti significativi sulla mente e sul sonno appaiono dopo due ore al giorno sui dispositivi elettronici.

Sarebbe importante quindi che i ragazzi non superassero questo confine di tempo" spiega  Jean M. Twenge autrice della ricerca e del saggio "Generazione iGen". 

Chi non ricorda delle giornate passate con gli amici alle panchine del parco, in piazzetta, alla gelateria del paese, a chiacchierare di scuola, famiglia, nuovi amori. Ci si confrontava con i coetanei su sentimenti ed emozioni forti. A volte si litigava, ci si alleava e ci si riappacificava.

Oggi, invece, i ragazzi non hanno più punti di ritrovo "fisici", ma solo virtuali: Instagram o Snapchat.

Tanto è forte il collegamento tra lo smartphone e i comportamenti adolescenziali che la professoressa Jean M. Twenge, docente di psicologia della San Diego State University, nel suo nuovo saggio ha definito questa generazione "iGen": generazione iphone. 


La Twenge da venticinque anni studia i trend generazionali. 
Ha lavorato sul senso di ribellione dei baby boomer (i nati dal 1945 al 1965), sul desiderio di indipendenza della generazione X (i nati tra il 1965 e il 1980), sull’individualismo dei Millennials  (nati tra il1980 e il 2000). 

 

E confrontando i dati comportamentali di queste ultime generazioni ha scoperto che i teeneger Usa di oggi sono più depressi, passano meno tempo con gli amici, sostanzialmente sono più soli e più vulnerabili e a maggior rischio suicidio.

E alla base di questo drammatico cambiamento, secondo la Twenge, ci sarebbe proprio la diffusione di cellulare e dei social media tra i ragazzi nati dopo il 2000.

 

Ecco il suo studio spiegato alla rivista americana The Atlantic.

L'arrivo dello smartphone ha radicalmente cambiato ogni aspetto della vita degli adolescenti, dalla natura delle loro interazioni sociali alla loro salute mentale.

Questi cambiamenti hanno colpito i giovani in ogni angolo della nazione e in ogni tipo di famiglia. Le tendenze sono le stesse tra ragazzi poveri e ricchi; di ogni etnia; nelle città, nei sobborghi e nei piccoli paesi. 

Lo scopo dello studio generazionale non è quello di cedere alla nostalgia per il passato; ma capire la realtà di oggi. 


1. Gli adolescenti di oggi: fisicamente più sicuri ma psicologicamente più a rischio
Se da un lato si può dire che gli adolescenti di oggi, passando più tempo in camera loro con il cellulare, sono fisicamente più sicuri di quanto gli adolescenti non siano mai stati, psicologicamente invece sono più vulnerabili: i tassi della depressione e di suicidio sono aumentati dal 2011 a oggi.

 

Non è un'esagerazione dire che gli iGen sono sull'orlo della peggiore crisi di salute mentale degli ultimi decenni. E gran parte di questo deterioramento può essere ricondotto all'uso smodato dei telefonini.

Gli studi fatti fino ad ora hanno dimostrato che a caratterizzare una generazione non è mai bastato un unico evento, neppure se catastrofico come una guerra, ma sempre un insieme di eventi.
Oggi però è diverso: l'ascesa dello smartphone e dei social media hanno causato un terremoto di proporzioni mai viste.

 

Ci sono prove che i dispositivi che abbiamo messo nelle mani dei nostri figli stanno avendo profondi effetti sulla loro vita e che li rendono seriamente infelici.

 

2. Dal primo appuntamento alla patente: una generazione in ritardo rispetto alle precedenti
Una delle differenze più lampanti emerse dallo studio è che il fascino dell'indipendenza, così potente alle generazioni precedenti, ha meno influenza sugli adolescenti di oggi. Ad esempio i diciassettenni del 2015 escono molto meno dei quindici-quattordicenni del 2009. 

Lo stesso accade con i primi corteggiamenti. I ragazzi di oggi passano più tempo a chattare tra loro sui telefonini che uscire per un primo appuntamento. Solo il 56% dei ragazzi di oggi ha avuto un primo appuntamento, contro l'85% delle generazioni precedenti. 

Di conseguenza, e questo dato potrebbe essere letto come un trend positivo, c'è stato un calo anche nei rapporti sessuali soprattutto tra i ragazzi di prima superiore: una riduzione del 40% rispetto al 1991.  


Un altro ritardo è nell'età in cui si prende la patente. Sia perché si ha meno voglia di uscire ed essere indipendenti, sia perché spesso mamma e papà fanno da autisti fin oltre i vent'anni. 

La cosiddetta generazione X è quella che più di tutti ha allungato i tempi dell'adolescenza: sono cresciuti prima e diventati adulti tardi. A partire dai Millenials e dalla generazione iGen l'adolescenza inizia più tardi: i ragazzi di 18 anni si comportano più come quelli di 15 e quelli di 15 più come quelli di 13. L'infanzia ora si estende anche al liceo.

Perché gli adolescenti di oggi aspettano più a lungo per assumersi sia le responsabilità che i piaceri dell'età adulta?
In un'economia che premia l'istruzione superiore, i genitori per primi incoraggiano i loro figli a rimanere a casa a studiare piuttosto che a cercarsi un lavoro.
Gli adolescenti, a loro volta, sembrano soddisfatti di questo accordo domestico, non perché sono così studiosi, ma perché la loro vita sociale è vissuta sul proprio telefono. Non hanno bisogno di andarsene di casa per trascorrere del tempo con i loro amici.
Infatti, guardando i dati, gli studenti di oggi passano meno tempo a fare i compiti rispetto ai loro predecessori. 
Inoltre, hanno molto più tempo libero rispetto alle generazioni precedenti. E come lo usano questo tempo? Lo passano al telefono nella loro cameretta. Soli e spesso in difficoltà. 

 

Il numero di ragazzi che si vede con i propri amici è sceso di oltre il 40% dal 2000 al 2015. E il declino è stato più ripido negli ultimi tempi. Il parco, la piazzetta, la pista di pattinaggio, il campo di basket, sono stati sostituiti da spazi virtuali. 

 

3. Più tempo davanti al cellulare, più probabilità di essere infelici
Si potrebbe pensare che gli adolescenti passino così tanto tempo in questi nuovi spazi perché li rendono felici, ma i dati ci mostrano che non è così. 
Il sondaggio "Monitoring the Future survey" del National Institute on Drug Abuse ha rilevato che gli adolescenti che trascorrono più tempo rispetto alla media sulle attività dello schermo hanno più probabilità di essere infelici.

I ragazzi di 13 e 14 anni che passano dieci o più ore alla settimana sui social media hanno il 56 % in più di probabilità di essere infelici rispetto a quelli che passano meno tempo. Certamente, dieci ore alla settimana è molto. Ma quelli che passano sei o nove ore alla settimana sui social media hanno il 47% in più di probabilità di dire che sono infelici rispetto a quelli che utilizzano ancora meno i social media.
L'opposto si verifica con le interazioni personali. Chi passa più tempo con gli amici è più felice di chi ne passa meno. 
Da questo sondaggio emerge che per passare un'adolescenza felice basterebbe mettere giù il telefono e uscire con gli amici.
Naturalmente, queste analisi non dimostrano inequivocabilmente che il tempo dello schermo causa infelicità.  È possibile che gli adolescenti infelici passino più tempo in rete. Ma la ricerca  suggerisce che il tempo passato davanti allo schermo renda davvero infelici.

I social network come Facebook promettono di collegarci agli amici. 
Ma il ritratto dei ragazzi iGen che emerge dai dati è di una generazione solitaria e dislocata.

 

4. A rischio depressione e suicidio
Un altro dato emerso da questo studio è la depressione: più i ragazzi passano il tempo guardando gli schermi, più sono soggetti a rischio depressione.

I tredicenni che usano massicciamente i social media hanno un rischio di depressione più alto del 27%, mentre quelli che fanno sport, volontariato o altre attività hanno un rischio molto più ridotto.

Gli adolescenti che trascorrono tre ore al giorno o più sui dispositivi elettronici hanno il 35% in più di probabilità di avere un fattore di rischio di suicidio, (un rischio molto più alto rispetto a quello di chi passa tanto tempo davanti alla tv). 

Uno dei dati che è emerso e che, nel bene e nel male, descrive questa nuova solitudine, è che dal 2007 sono diminuiti tra gli adolescenti gli omicidi, ma sono aumentati i suicidi. Poiché gli adolescenti hanno iniziato a trascorrere meno tempo insieme, hanno meno probabilità di uccidersi l'un l'altro, ma più probabilità di uccidersi. Nel 2011, per la prima volta in 24 anni, il tasso di suicidio dei teen era superiore al tasso di omicidio (dati Usa n.d.r.).

 

5. La paura dell'esclusione
Ma qual è il collegamento tra gli smartphone e la sofferenza psicologica di questa generazione?
Attraverso il loro potere di collegare i ragazzi tra loro di giorno e di notte, i social aggravano la preoccupazione degli adolescenti di essere esclusi. I ragazzi di oggi quando si riuniscono documentano i loro appuntamenti su Snapchat, Instagram, Facebook. Quelli non invitati ne sono consapevoli. Di conseguenza  il numero degli adolescenti che si sentono esclusi ha raggiunto livelli elevati in tutti i gruppi di età. Come l'aumento della solitudine, la ripresa nel sentirsi esclusi è stata rapida e significativa.

 

Soprattutto il problema riguarda le ragazze che usano di più i social.

Inoltre mentre i maschi risolvono i loro conflitti fisicamente, facendo a botte, le ragazze si fanno la "guerra" soprattutto attraverso le parole e quindi i social diventano gli strumenti ideali per isolare e colpire le "nemiche" fino a commettere veri e propri attacchi di cyberbullismo.

Inoltre le ragazze sono più suscettibili di quello che gli altri pensano di loro. "Quando posto qualcosa su Instagram mi sento nervosa per ciò che la gente penserà. E mi sento triste se vedo che con un'immagine non ottengo molti "mi piace"" spiega Athena, una tredicenne americana.  

 

I sintomi depressivi dei ragazzi sono aumentati del 21% dal 2012 al 2015, mentre nelle ragazze sono aumentati del 50 %, più del doppio.

 

6. Diminuzione delle ore di sonno
Lo smartphone è anche responsabile di una diminuzione delle ore di sonno: molti ragazzi dormono meno di sette ore a notte. 
Ma gli esperti del sonno avvisano che gli adolescenti dovrebbero riposare almeno nove ore. Dai dati risulta che dal 2012 al 2015 il 22% in più dei ragazzi  ha dormito meno di sette ore. 
Questo aumento significativo ancora una volta è legato dalla diffusione del cellulare tra i ragazzi.

Due indagini effettuate sul territorio Usa hanno mostrato che gli adolescenti che trascorrono tre o più ore al giorno sui dispositivi elettronici hanno il 28 % in più di probabilità di dormire meno di sette ore a notte. 
I dispositivi elettronici e i social media hanno una capacità particolarmente forte di disturbare il sonno.
Per esempio i ragazzi che leggono più libri della media, non risultano avere questi problemi di sonno. Anzi, spesso leggere a letto aiuta ad addormentarsi. 
E guardare la tv per molte ore ha un effetto di insonnia minore rispetto allo smartphone. 


La deprivazione del sonno è collegata a una miriade di problematiche: il pensiero e il ragionamento sono compromessi, si è più soggetti a malattie, all'aumento di peso, all'alta pressione sanguigna. E influenza l'umore: le persone che non dormono abbastanza sono inclini alla depressione e all'ansia.

Di nuovo, è difficile tracciare i percorsi precisi del causalità. 
I cellulari potrebbero causare la mancanza di sonno, che porta alla depressione, o i telefoni potrebbero causare la depressione, che porta alla mancanza di sonno. 
O un altro fattore potrebbe causare sia la depressione che la privazione del sonno. Ma lo smartphone, la sua luce blu che brilla nel buio,  probabilmente gioca un ruolo nefasto.

La correlazione depressione e l'uso di smartphone è così forte che i genitori dovrebbero dire ai loro bambini di mettere giù il  telefono. 

Ed è una cosa che molti genitori che lavorano nella Silicon Valley fanno. Lo stesso Steve Jobs limitava l'uso dei dispositivi digitali ai propri figli.

7. E' importante insegnare ai ragazzi a usare il cellulare in modo responsabile e non più di due ore al giorno
Quello che è in gioco non è solo come i nostri ragazzi passano l'adolescenza, ma come diventeranno da adulti.  
L'adolescenza è un momento chiave per lo sviluppo delle competenze sociali.
E se non si passa del tempo con i propri amici si hanno meno opportunità di praticarle. 
Togliere il telefono dalle mani dei nostri bambini è difficile, molto più di quando i nostri genitori ci chiedevano di spegnere la tv. Ma è importante insegnare ai ragazzi a usarlo in modo responsabile.

Ridurre il tempo passato allo smartphone potrebbe impedire ai ragazzi di cadere in abitudini nocive. Effetti significativi sulla salute mentale e sul sonno appaiono dopo due ore al giorno sui dispositivi elettronici. Sarebbe importante quindi non superare questo confine di tempo. 

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L’attacco di panico è un episodio improvviso di ansia e paura che si manifesta con evidenti sintomi fisici come sudorazione, vertigini, palpitazionie ecc.. La sensazione è quella  di perdere il controllo e avere un attacco di cuore. L' attacco di panico è dovuto ad un forte stress o stato d'ansia dovuto a particolari eventi o momenti nella vita. 

Come curare gli attacchi di panico?

I rimedi all’attacco di panico variano in base alla gravità. L’attacco di panico è grave quando si presenta con una certa frequenza e in questi casi è necessaria, oltre alla psicoterapia, una cura farmacologia. Altrimenti un percorso psicoterapeutico è sufficiente per risolvere il problema . In particolare è particolarmente indicata  la terapia cognitivo comportamentale che come vantaggio principale ha il fatto d’essere, non solo efficace, ma anche relativamente breve.

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Patologie CARDIOVASCOLARI

Cosa sono?

La malattia cardiovascolare è una patologia che interessa il sistema arterioso.

Comporta il restringimento progressivo delle arterie, fino alla loro parziale o completa ostruzione, a causa generalmente della formazione di placche all’interno delle arterie, chiamate ateroma o placche aterosclerotiche.

Alla malattia cardiovascolare sono connesse diverse manifestazioni cliniche, che si differenziano a seconda di qual è il distretto arterioso interessato.

Fra le patologie cardiovascolari rientrano anche i difetti congeniti del cuore, le malattie reumatiche ad interessamento miocardico, le varie forme di aritmia, le patologie che interessano le valvole cardiache e l'insufficienza cardiaca.

Le patologie cardiovascolari sono tra le principali cause di malattia, invalidità e mortalità in Italia.

Classificazione delle malattie cardiovascolari

Le malattie cardiovascolari sono patologie a carico del cuore e dei vasi sanguigni. Questa categoria include:

  • le malattie ischemiche cardiache, come l'infarto del miocardio e l'angina pectoris;
  • le malattie cerebrovascolari, come l'ictus ischemico ed emorragico.

 Quali sono le principali malattie cardiovascolari

Fra le malattie cardiovascolari più diffuse rientrano:

  • aterosclerosi
  • coronaropatia
  • cardiopatia ischemica
  • ictus
  • angina pectoris
  • aneurisma aortico
  • insufficienza cardiaca
  • cardiopatia ischemica cronica
  • cardiopatia ischemica ipertensiva

Epidemiologia delle malattie cardiovascolari tra il 2019 e il 2020

Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte al mondo, con circa 17,6 milioni di decessi all’anno.

Le malattie che derivano dall’aterosclerosi della parete arteriosa e dalla trombosi sono la principale causa di morbidità e di mortalità cardiovascolare nei paesi industrializzati

Nei paesi sviluppati le malattie aterosclerotiche sono diffuse a causa di

  • sedentarietà
  • alimentazione scorretta

predispongono alla sindrome metabolica e al diabete.

 

RISCHI E CAUSE

Patologie legate a fattori di rischio modificabili SI POSSONO PREVENIRE come

  • ischemie,
  • infarto acuto del miocardio 
  • malattie cerebrovascolari (ictus ischemico ed emorragico) 

  Alla base ci sono spesso:

  • l'aterosclerosi, condizione vascolare cronica e progressiva, si manifesta con placche di grasso nelle arterie che, negli anni, aumentano di dimensioni e subiscono un processo di calcificazione
  • l’ipercolesterolemia è correlata principalmente a una concentrazione di grassi nel sangue che supera livelli di guardia e che, insieme a uno stile di vita e alimentare scorretto, favorisce lo sviluppo delle malattie cardiovascolari.
  • La dislipidemia è correlata principalmente a valori di colesterolo fuori controllo, ovvero un'alta concentrazione di colesterolo LDL e di colesterolo HDL  di colesterolo HDL
  • il fumo di sigaretta: il rischio è proporzionale al numero di sigarette fumate al giorno. Più nello specifico, il rischio di attacco cardiaco, fumando 20 o più sigarette al giorno, rispetto ai non fumatori è dalle 3 alle 6 volte.
  • l’ipertensione ha un peso notevole quando la pressione arteriosa supera i 120/80 mm Hg perchè cresce del 60%
  • il diabete: i diabetici rischiano di contrarre malattie cardiovascolari, soprattutto legate alla presenza di danno d’organo o di polivasculopatia
  • l’obesità, soprattutto addominale, accresce il rischio di coronaropatie e aumenta il rischio di ipertensione e diabete.

FATTORI DI RISCHIO NON PREVENIBILI MA ATTENUABILI

Non è possibile intervenire in maniera diretta, ma alcune conseguenze possono essere attenuate adottando un corretto stile di vita e misure di prevenzione.

Fanno parte di questa categoria:

  • l’età (superiore ai 50 anni);
  • sesso: sono generalmente più diffuse negli uomini rispetto alle donne, ma con la menopausa il rischio tra uomini e donne tende a equipararsi
  • familiarità

SINTOMI SILENTI

Spesso non si va dal medico per sintomatologie cardiovascolari perchè i sintomi restano silenti a lungo.

Ci si allerta solo in presenza di sintomi evidenti, come quando un’arteria si ostruisce a tal punto e si ha dolore al torace.

Spesso si riscontrano:

  • difficoltà di respirazione
  • affaticamento
  • palpitazioni
  • vertigini
  • svenimenti
  • gonfiore delle gambe, delle caviglie e dei piedi

 

VISITA CARDIOLOGICA

Per ottenere una diagnosi bisogna effettuare una visita cardiologica, con anamnesi medica ed esame obiettivo. Spesso vengono richiesti esami specifici per confermare la diagnosi e determinare la gravità della malattia. Gli approfondimenti possono includere:

  • elettrocardiogramma
  • test da sforzo
  • radiografie ed ecografia (ecocardiogramma)
  • risonanza magnetica per immagini
  • tomografia computerizzata
  • profilo lipidico a digiuno
  • livelli di glicemia e di emoglobina glicosilata

PREVIENI ORA PER NON CURARE POI

+ La prevenzione primaria è essenziale per contrastare le malattie cardiovascolari, perché  ne evita l’insorgenza, deve cominciare dall’infanzia e proseguire per tutta la vita.

I comportamenti raccomandati per un corretto stile di vita sono:

  • alimentazione sana: favorire cereali integrali, pesce, verdura e frutta
  • limitare sale, zuccheri e grassi saturi
  • attività fisica regolare
  • attenzione al peso
  • evitare il fumo
  • limitare l'alcol

+ La prevenzione secondaria è per tutti coloro che sono già stati affetti da infarto o altri eventi cardiaci

OBIETTIVO: raggiungere i livelli target di pressione e colesterolo LDL, attraverso un corretto stile di vita, ad eventuali terapie farmacologiche e al monitoraggio dei valori.

 

Il nostro CHECK UP CARDIO

Comprende:

+ VISITA CARDIOLOGICA

+ ECG

*esame diagnostico volto a registrare l'attività elettrica del cuore, al fine di valutarne lo stato di salute ed individuare diverse anomalie cardiache, patologie oppure aritmie.

+ ECOCARDIOCOLORDOPPLER

* impiega ultrasuoni per visualizzare l'anatomia del cuore e la sua funzione. Fornisce informazioni sulla sua contrattilità, sulla morfologia delle valvole cardiache e sul flusso del sangue all'interno delle cavità.

+ ESAMI DI LABORATORIO DI ROUTINE E SPECIFICI

* come ad es. il dosaggio degli elettroliti (sodio, potassio, cloro, calcio, fosforo e magnesio), della proteina C reattiva (PCR), del fibrinogeno e del peptide natriuretico cerebrale.

 

❤️ I NOSTRI CARDIOLOGI

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☎ PER INFO E PRENOTAZIONI visite cardiologiche

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L’ansia da prestazione riguarda diverse sfere ed aree della vita di una persona, e si manifesta in diversi modi.

Nelle relazioni interpersonali, l'ansia da prestazione si manifesta con la tendenza a dimostrare a tutti i costi di essere accettati, riconosciuti e stimati. A livello lavorativo questa manifestazione può insorgere nel voler dimostrare di essere affermati dal punto di professionale. Ma la modalità d’ansia da prestazione più diffusa è quella che riguarda la sfera sessuale. Il soggetto ha paura di deludere le aspettative del partner e questo genere un’ansia che impedisce di vivere serenamente un rapporto e la sessualità.

La cura contro l’ansia da prestazione consiste nell’intraprendere un percorso psicologico, che possa indagare sulle cause dell’ansia e interrompere questo disagio. A volte può essere utile una psicoterapia, che mette nelle condizioni di lasciar andare i pensieri inconsci che portano al fallimento delle prestazioni, specie in quelle sessuali dove si verificano blocchi dovuti a processi mentali incontrollabili. Nella maggior parte dei casi di problemi sessuali, può esser di grande aiuto un sessuologo, che fa intraprendere un percorso di analisi della vita sessuale del singolo o della coppia, coinvolgendo così anche la partner.

 

 

PRENOTA UNA VISITA psicologica (terapia breve)

 

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Un buon sonno è alla base di una miglior qualità della vita. In presenza di  disturbi del sonno si possono avere conseguenze come ansia, depressione, stanchezza, disturbi dell’attenzione e dell’umore che influiscono negativamente nella quotidianità.

I fattori che possono influenzare la qualità del sonno possono essere di natura psicologica, legata dunque ad ansia, stress e preoccupazioni varie, per cui è necessario l'aiuto di uno psicologo o psicoterapeuta. Problemi legati ad un'alterazione del ritmo sonno-veglia dovuti ad orari irregolari, consumo di alcool o droghe per cui è necessario dedicare le giuste ore necessarie al riposo ed uno stile di vita sano.

Infine problemi legati alle vie respiratorie per cui è necessario rivoglersi a professionisit per effettuare visite specialistiche come la polisonnografia

http://www.poliambulatorioes.it/539/disturbi-sonno-polisonnografia

Lavorano presso il nostro poliambulatorio:

Il dottor Sebastiano Catera -  specializzato in Otorinolaringoiatria - Dirigente medico di otorinolaringoiatria presso ASL TO2

La dottoressa Elena Siccardi -dirigente medico presso ASL TO2 - Specialità in Otorinolaringoiatria - Specialità in Microbiologia e Virologia Clinica ORL- qualificata in Disturbi Respiratori in Sonno

 

 

 

UNA PROMOZIONE ES

 

 

Diagnosi precoce e tempestività nei trattamenti sono fondamentali per la risoluzione di:

 

  • Disturbi di apprendimento (dislessia, disortografia e discalculia)
  • Disturbo da deficit di attenzione ed iperattività (ADHD: Attention Deficit Hyperactivity Disorder)
  • Difetti di pronuncia (dislalie correlate a palato ogivale da ipertrofia adenoidea)
  • Timbro vocale nasale

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Il diabete gestazionale consiste nell'innalzamento smisurato della glicemia e nell'impossibilità del pancreas di produrre l'insulina necessaria ad abbassarne i livelli. La visita di controllo si esegue sin dal primo trimestre attraverso l'esame del sangue. Successivamente si ripete un test di screening tra la 24esima e la 28esima settimana per avere una diagnosi definitiva.

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Il Melanoma è un tumore che può esser diagnosticabile. I primi segnali sono il cambiamento della forma, del colore di un neo, la comparsa di un’infiammazione in corrispondenza di un neo. In questi casi è fondamentale sottoporsi a un controllo.

Può formarsi su qualsiasi superficie della pelle.

Quali sono i fattori di rischio per un Melanoma?

Le possibili cause sono:

  • La familiarità
  • Un pregresso melanoma
  • Un’ elevata presenza di nei nel corpo
  • Cambiamenti climatici
  • Fumo
  • Stress
  • Obesità
  • Le scottature solari nell'infanzia e nell'adolescenza o lunghe esposizioni ai raggi del sole o delle lampade.
  • Stati di immunosoppressione

La diagnosi precoce del Melanoma

La diagnosi precoce è la prima arma per combattere il melanoma, per questo è necessario imparare a conoscere la propria pelle. Tutti devono essere in grado di controllare periodicamente i propri nei e valutando eventuali cambiamenti.

Se ci sono dei sospetti è necessario rivolgersi al dermatologo che utilizza il dermatoscopio digitale ( epiluminescenza), uno strumento che permette di studiare le caratteristiche di comuni formazioni cutanee e che permetto di vedere se si tratta di tumore maligno o benigno.

 

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Vantaggi del trattamento Logopedico

nei bambini con Autismo

• Quali sono i problemi di linguaggio e di comunicazione comuni nell’autismo?
• Che ruolo ha la logopedia nel trattamento dell’ autismo?
• Quali sono i vantaggi del trattamento logopedico per l’autismo?
• Qual è il momento migliore per iniziare la logopedia in un bambino con autismo?

Che ruolo ha il logopedista nel trattamento dell’ autismo?

I Logopedisti sono terapisti che si specializzano nel trattamento di problemi di linguaggio e disturbi della comunicazione.

Sono una parte fondamentale del trattamento riabilitativo del bambino con autismo. Con lo screening precoce e l’inquadramento psicodiagnostico dei soggetti a rischio, logopedisti spesso possono intervenire in modo efficace sull’evoluzione del bambino.

Una volta effettuata la diagnosi di Autismo o Disarmonia Evolutiva, l’equipe medica costituita da Neuropsichiatra infantile, Foniatra, logopedista e neuropsicomptricista valuta il modo migliore per favorire la comunicazione e migliorare la qualità della vita del bambino e della sua famiglia.

Nel corso della terapia, il logopedista lavora sinergicamente con il neuropsicomptricista con la famiglia, la scuola. Se il bambino è “non verbale”, quindi non parla, presenta problematiche maggiori nel linguaggio, il logopedista può introdurre strategie comunicative alternative CAA (comunicazione Aumentativa Alternativa), oppure intraprendere un percorso ABA o di Behavior comunication.

Ci sono varie strategie di intervento e molto dipende dalle caratteristiche del bambino al quale deve essere somministrata la terapia, a volte queste metodiche a mio avviso possono essere miscelate tra loro.

Tecniche di terapia del linguaggio possono includere:
• “facilitatori” elettronici
• Comunicazione facilitata
• Utilizzo di schede di immagini con le parole, noti come sistemi di comunicazione aumentativa, associazione di immagini ad oggetti che fungono da facilitatore, utilizzate al posto delle parole per aiutare il bambino ad imparare a comunicare
• Migliorare l’articolazione del linguaggio con esercizi di prassie linguo buco facciali, esercitando tutta la muscolatura mimico facciale per l’articolazione dei suoni.
• Si può ricorrere a strategie varie, anche cantare una canzoncina che abbia delle caratteristiche particolarmente gradevoli per il bambino e lo invogli a ripetere alcune parole, abbinando il ritmo, con il flusso di parole e frasi.

Con una bimba una volta abbiamo sperimentato in modo davvero semplice come a volte basti poco per motivare un bimbo. Titti conoscerete la canzoncina che fa:<< Se sei felice e tu losai batti le mani……>>. Bene è bastato cambiare il batti le mani con i suoni onomatopeici e lei li ha ripetuti tutti, che sorpresa!!! Per me una scoperta enorme con un azione semplice, per questo dico che a volte bisogna sperimentare e a volte c’è un colpo di fortuna…..

Quali sono i vantaggi della terapia logopedica nell’autismo?
La Logopedia può migliorare la comunicazione globale del bambino. Questo facilita la possiblità di avere relazioni sociali, di stabilire scambi interpersonali nella vita quotidiana.

Obiettivi specifici di logopedia includono aiutare la persona con autismo ad:
• Articolare le parole
• Comunicare sia verbalmente che non verbalmente
• Comprendere la comunicazione verbale e non verbale, capire le intenzioni degli altri la mimica facciale ecc.
• Avviare la comunicazione, spesso il bambino con autismo ha difficoltà nella conversazione, va guidato in questo apprendimento
• Conoscere il tempo e il luogo per comunicare qualcosa di appropriato; ad esempio, quando dire “buongiorno”
• Favorire lo scambio di idee
• Comunicare con gli altri
• Giocare e interagire con i coetanei
• Imparare l’autoregolamentazione

Qual è il momento migliore per iniziare la logopedia?
Solitamente prima dei tre anni è già possibile diagnosticare lo sviluppo disarmonico del bambino, i ritardi di linguaggio possono essere riconosciuti fin dai 18 mesi d’età. L’autismo in alcuni casi può essere diagnosticato già dai 10-12 mesi.

Quindi prima si intraprende un percorso riabilitativo migliori saranno le possibilità di recupero.
È molto importante iniziare la logopedia più presto possibile, quando si può avere il maggiore impatto sullo sviluppo.

Un trattamento intensivo, individualizzato può aiutare a diminuire l’isolamento invalidante che può derivare da questa disabilità favorendo la comunicazione sociale.
Con l’identificazione precoce e l’intervento, due bambini su tre in età scolare migliorano le capacità di comunicazione e la loro padronanza del linguaggio.

La ricerca Americana mostra che i bambini che migliorano maggiormente, spesso sono quelli che ricevono una terapia logopedia volta “all’oralmotor”, cioè alle esercitazioni prassiche, spesso questo aspetto del linguaggio viene sottovalutato e non si crea un momento logopedico puro nel piano riabilitativo.

E’ importante intervenire su tutti gli aspetti linguistici e comunicativi in modo sinergico, tutte le figure professionali che interagiscono con il bambino devono avere obiettivi comuni e condivisi e soprattutto la famiglia deve essere il fulcro dell’intervento.
A volte solo per caso scopriamo la chiave per aprire la porta di un mondo tutto da scoprire…

 

PER SAPERNE DI PIU' CONTATTA LA NOSTRA LOGOPEDISTA ALLO 011 1987 9421 O SCRIVI A segreteria@poliambulatorioes.it

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PEPSINA =

ENZIMA DELLO STOMACO CHE

AGGREDISCE E DIGERISCE LE PROTEINE DEL CIBO INGERITO

La pepsina è molto lesiva per i tessuti non preposti alla digestione, in particolare l’esofago, le alte vie aeree ed il polmone.

Visto che la pepsina agisce anche a pH elevati, la terapia con gli inibitori della pompa protonica (PPI) non sempre la inattivanoe aiutano a gestire i sintomi extra-esofago.

 

IL REFLUSSO GASTROESOFAGEO

Il reflusso gastro-esofageo è una condizione patologica dove il materiale, liquido o gassoso dallo stomaco passa all’esofago.

A seconda del livello di acidità del contenuto, il reflusso può essere:

  • acido (pH <4.0)
  • debolmente acido (pH 4.1-7.0)
  • alcalino (pH 7.0)

Il reflusso non acido è chiamato anche gassoso essendo il gas ciò che migra dallo stomaco (portando pepsina, acido cloridrico e sali biliari) su per l’esofago fino a raggiungere le alte vie aeree e l’apparato respiratorio.

Questo succede quando ci sono anomalie gastro-esofagee quali:

  • disturbi dello sfintere esofageo inferiore e superiore
  • ernia iatale
  • alterazioni della peristalsi esofagea

 

Processo infiammatorio delle VIE AEREE SUPERIORI

La pepsina a livello delle alte vie aeree e del polmone, causa un processo infiammatorio o irritativo CRONICO della mucosa che va ai nervi, che segnalano la presenza di una sostanza altamente lesiva con la tosse o la disfagia.

I SINTOMI DELL'INFIAMMAZIONE DA PEPSINA

Se si infiammano: laringe, gola, bronchi e polmone, naso e orecchio si possono avere:

  • disfonia
  • disfunzione delle corde vocali
  • polipi laringei
  • iperemia dei tessuti laringei
  • faringodinia (dolore alla gola)
  • presenza di muco
  • bruciore retrosternale
  • salivazione abbondante
  • bruciore della lingua
  • rinite e a volte otite
  • infezioni delle vie aeree e del polmone
  • un peggioramento dell’asma bronchiale e della broncopneumopatie ostruttiva cronica
  • …e a lungo andare anche la comparsa di tumore del laringe

Quindi la pepsina può essere la causa di molti disturbi coinvolgenti

  • il polmone profondo
  • le vie aeree
  • la laringe
  • il faringe
  • il naso
  • le cavità del massiccio facciale
  • l’orecchio

 

È IMPORTANTE

uno screening del reflusso gastro-esofageo

(ossia misurare il dosaggio della pepsina sulla saliva)

in PAZIENTI con:

  • TOSSE CRONICA 
  • SINTOMI A CARICO DELLE ALTE VIE AEREE O MALATTIE RESPIRATORIE
  • asma bronchiale
  • disturbi del sonno
  • obesità
  • la fibrosi polmonare
  • fibrosi cistica
  • obesità
  • apnea notturna
  • sinusite cronica
  • rigetto post-trapianto polmonare

Contribuiscono a supportare l’ipotesi di reflusso gastro-esofageo

  •  fibrolaringoscopia
  • lo score di HULL
  • la misura della pepsina su saliva

Poi si effettuerà:

  • VISITA GASTROENTEROLOGICA
  • gastroscopia 
  • eventuale manometria esofagea
  • pH-impedenziometria esofagea

COME SI ESEGUE IL PEP-TEST?

Il Pep-test è una misurazione fatta su un quantitativo di saliva raccolta dal paziente in una provetta e portata in laboratorio per l’analisi.

 

Al Poliambulatorio ES effettuiamo il PEP-TEST

 

Per info e prenotazioni

VISITE GASTROENTEROLOGICHE

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I Bambini aggressivi sono anche bambini violenti?

“Violenza” e “aggressività” sono diverse perchè la violenza viene esercitata sull'altro in modo consapevole, per agire contro la sua volontà, mentre l’aggressività è una tendenza istintiva che causa di comportamenti di minaccia e attacco, provocati da conflitti o frustrazioni.

Prima dei 7 anni di età non è possibile parlare di “intenzionalità dell’atto violento”, e dunque tantomeno di “bambino violento”. Vero rancore o violenza non esistono nei primi anni di vita, e fino ai 10 anni circa sono davvero rari i comportamenti realmente pericolosi.

Quando i comportamenti classificabili come violenti sono ripetuti, è importante che gli adulti coinvolti analizzino le cause all’origine della condotta violenta, come dinamiche familiari disfunzionali, consumo inadeguato dei media… in modo da progettare e attuare interventi efficaci.

Bambini maneschi

L’aggressività può assumere tante forme diverse: morsi, spintoni, graffi,  botte rivolti ai coetanei, o addirittura contro se stessi.

 Ristabilito l’ordine, però, invece di punire, bisognerebbe mostrarsi “alleati”, aiutandoli a comunicare e accompagnandoli verso una soluzione positiva e verso modi più efficaci di  relazione.

I casi, invece, di bambini che si picchiano da soli, dandosi schiaffi o colpendo la testa contro il pavimento o le pareti, spesso spaventano o preoccupano gli adulti. Anche in queste circostanze, l’intervento più efficace è l'interrompere l’azione, per poi aiutare il bambino a ritrovare il proprio equilibrio emotivo.

Questi comportamenti scompaiono naturalmente col passare del tempo, a mano a mano che il piccolo acquisisce nuove competenze che gli consentono di regolare meglio le proprie emozioni e di controllare le proprie reazioni comportamentali, senza lasciarsi sopraffare dalla frustrazione.

Bambini aggressivi con i genitori

Se i bambini sono aggressivi con la mamma o con il papà è importante innanzitutto non trascurare il proprio ruolo di modello comportamentale: non esporre il piccolo a un linguaggio violento, come restituire uno schiaffo per non aumentare le possibilità che i bambini, nel tempo, diventino sempre più aggressivi.

Un vero intervento educativo non si limita alla repressione, ma deve promuovere occasioni di apprendimento e di crescita.

Un bambino che picchia la mamma non agisce per cattiveria o per dispetto. Lo fa perché non riesce a esprimere un bisogno o un’emozione, e quindi reagisce istintivamente. 

I genitori devono mostrare fermezza e lucidità, interrompendo il comportamento aggressivo con un autorevole «no», senza troppe spiegazioni che i piccoli non sono in grado di seguire 

Facciamo capire al bambino che comprendiamo la sua emozione, ma che agire in quel modo fa male alla mamma, o al papà, e che perciò è inaccettabile.

Spostiamo l’attenzione su quale emozione o bisogno nasconde e su come si può reagire diversamente ad essa.

Neanche per gioco i genitori devono “pizzicare” o dare piccoli morsi ai loro bambini perchè  si trasmette il messaggio che gesti del genere sono ammissibili.

 

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I dolori mestruali colpisco la maggior parte delle donne durante l'età fertile. Si tratta di un disagio fisico e psicologico, spesso così fastidioso e debilitante da compromettere, in alcuni casi, le normali attività quotidiane.

 Alcuni rimedi utili per alleviare i dolori mestruali sono seguire una dieta sana ed equilibrata, che escluda il consumo di alcolici, caffeina e conusmare invece  cereali, legumi e alimenti ricchi di ferro. Fare attività sportiva dedicandosi  ad attività che lavorano su un equilibrio psico-fisico, come ad esempio lo yoga e il pilates. Infine concedersi momenti rilassanti come un bagno caldo, un massaggio e bere tisane a base di camomilla, melissa, finocchio e zenzero.

In caso di crampi mestruali possono esser utili alcune cure farmacologiche come integratori a base di magnesio,omega 3 e zinco e farmaci antidolorifici a base di ibuprofene o flurbiprofene.

In caso di dolore più intenso, tanto da interferire nelle normali attività quotidiane, è opportuno eseguire una visita ginecologica ed eventualmente un'ecografia pelvica, per escludere la presenza di cause patologiche.

 

 

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Disturbi Specifici dell’Apprendimento: la Disgrafia

Nell’ambito dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento, con il termine Disgrafia si intende il Disturbo Specifico della Scrittura, si intende una difficoltà con la scrittura.

La disgrafia si manifesta all’incirca a partire dalla terza elementare, quando il bambino inizia ad aver automatizzato i gesti di scrittura, che viene personalizzata.

I bambini affetti da disgrafia hanno spesso un’impugnatura scorretta della penna e faticano a organizzare lo spazio sul foglio, lasciando spazi irregolari tra i simboli grafici, le parole, scrivendo in salita o in discesa e non riuscendo a regolare la pressione della mano sul foglio e, frequentemente, invertendo la direzione del gesto. Altre difficoltà sono presenti:

  • nella copia e produzione autonoma di figure geometriche e riproduzione di oggetti o copia di immagini, che risulta carente di particolari
  • nella copia di parole e di frasi
  • inversioni nella scrittura dei grafemi
  • errori attribuibili a una scarsa coordinazione oculo-manuale
  • il ritmo di scrittura è alterato (eccessivamente lento o veloce) e il gesto non è armonico e frequentemente interrotto con una perdita della naturale curvilineità

Spesse volte il bambino presenta problemi a carico della memoria di lavoro, che utilizza un processo di codifica per immagazzinare nuove parole scritte.

Questo meccanismo nel disgrafico non funziona e per questo si verifica una difficoltà nel ricordare come scrivere una lettera o una parola, con conseguenti complicazioni nella scrittura.

I bambini con disgrafia non hanno un disturbo dello sviluppo motorio, ma possono avere difficoltà a pianificare i movimenti sequenziali delle dita che portano ad avere una buona grafia.

I sintomi della disgrafia rientrano in sei categorie: visuo-spaziale, motoria, elaborazione del linguaggio, ortografia / scrittura, grammatica e l’organizzazione del linguaggio, in presenza di capacità di scrittura in ritardo rispetto ai coetanei.

I bambini disgrafici inoltre spesso lamentano dolore durante la scrittura, che inizia nell’avambraccio e poi si diffonde in tutto il corpo. Questo dolore può peggiorare o addirittura apparire in concomitanza di un periodo di particolare stress.

I sintomi della disgrafia variano anche a seconda dell’età del bambino e i primi segni compaiono generalmente quando si inizia a scrivere.

  • i bambini in età prescolare possono essere riluttanti a scrivere e disegnare,
  • quelli in età scolare spesso mostrano una grafia illeggibile e hanno bisogno di pronunciare le parole ad alta voce durante la scrittura.
  • Gli adolescenti, invece, scrivono frasi semplici, con molti errori grammaticali.

I bambini con disgrafia possono restare indietro nel lavoro scolastico impiegano molto tempo a scrivere e a prendere appunti e per questo possono scoraggiarsi e evitare compiti in cui è richiesto l’uso della scrittura. Inoltre, le capacità motorie di alcuni bambini disgrafici sono molto deboli e per questo faticano nelle attività quotidiane, come ad esempio abbottonare le camicie o allacciare le scarpe.

È possibile individuare diversi tipologie di Disgrafia:

  • dislessica, la scrittura spontanea è illeggibile, mentre quella copiata è abbastanza buona, e l’ortografia è pessima. La velocità del movimento delle dita è nella norma
  • motoria, è dovuta a un deficit delle capacità motorie, scarsa destrezza, scarso tono muscolare, e/o goffaggine motoria non meglio specificata. In generale, la scrittura è povera e illeggibile, anche quando si copia un documento. La velocità del movimento delle dita è nella norma
  • spaziale, è determinata da una difficoltà nella percezione dello spazio, la scrittura e il copiato sono incomprensibili, l’ortografia normale

Il trattamento per la disgrafia varia e può includere esercizi motori, per rafforzare il tono muscolare, migliorare la destrezza e la coordinazione occhio-mano, e di controllo della scrittura, oltre ai trattamenti riguardanti esercizi di memoria o neuropsicologici.

L’uso del computer è consigliabile rispetto alla carta.

Spesse volte a una riabilitazione cognitiva e motoria neuropsicologica sono affiancati incontri con uno psicoterapeuta adiuvanti al miglioramento del benessere del bambino.

 

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La nostra Infermiera pediatrica è disponibile su prenotazione per rispondere a domande, dubbi e confrontarsi su tematiche pediatriche diverse: dall'educazione terapeutica pre-nascita, al sostegno all'allattamento, la medicazione del moncone, l'igiene del bambino.

ALCUNI DOGMI IMPRESCINDIBILI PER NOI:

"Prendersi cura di un bambino significa predisporsi ad una vicinanza sia mentale che fisica tale da permetterci di comunicare con lui rispettandone l’identità. Le differenze che rendono il bambino un individuo a sé stante rispetto all’adulto sono molte e riguardano l’anatomia, la fisiologia, le patologie e l’approccio clinico assistenziale."

Il bambino non è solo un individuo complesso e fragile; esso è anche parte di un nucleo famigliare. Quando ci si approccia ad un bambino malato è importante considerarne non solo l’età, le capacità comunicative ed il vissuto di malattia, ma anche la situazione sociale e familiare.

Ogni bambino ha una sua capacità relazionale e di comunicazione e, soprattutto, ogni bambino ha bisogno di essere guardato ed ascoltato. Per instaurare una relazione con i bambini è necessario usare diverse strategie. In alcuni casi sono sufficienti un gioco o un palloncino, in altri è importante costruire la fiducia giorno per giorno facendo capire al paziente quanto lui sia importante per noi e quanto lo si rispetti nella sua identità.

Dare ascolto al bambino significa coinvolgerlo nella cura in base alle sue capacità cognitive e renderlo partecipe di ciò che accade. Spesso i tempi dell’assistenza sembrano impedirci di comunicare e di entrare in contatto con i pazienti; è in questo caso che i genitori possono diventare una grande risorsa.

Parte del lavoro dell’infermiere pediatrico è quello di riuscire ad accettare i momenti di crisi, quelli durante i quali il bambino (e a volte anche il genitore) piange e si dispera guardandolo negli occhi come se fosse il peggiore degli aguzzini.

 

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Disturbi Specifici dell’Apprendimento: la Disortografia

Tra i Disturbi Specifici dell’Apprendimento, troviamo anche la Disortografia. Con il termine Disortografia si intende il Disturbo Specifico della Scrittura, che riguarda lo scarso controllo ortografico.

La Disortografia è inclusa nel «Disturbo Specifico dell’Apprendimento con compromissione dell’espressione scritta» che prevede, oltre alle difficoltà ortografiche chiamate «difficoltà nell’accuratezza dello spelling», anche accuratezza della grammatica e della punteggiatura e chiarezza/organizzazione dell’espressione scritta.

La diagnosi si effettua alla fine del secondo anno della scuola primaria.

Le caratteristiche più comuni della disortografia sono:

  • Confusione di fonemi e di grafemi
  • Errori di ortografia
  • Problemi di scrittura simili ai dislessici
  • Problemi legati alla codifica di alcune parole scritte
  • Errori nel copiare le parole
  • Inversione di sillabe
  • Tagli arbitrari di parole
  • Omissione di lettere necessarie in una parola
  • Coniugazioni di verbi errate
  • Errori di analisi del testo
  • Lentezza, esitazione e povertà nella scrittura

Si tratta di un problema che insorge, il più delle volte come conseguenza della dislessia, ma in alcuni casi può manifestarsi anche in maniera isolata.

I segni distinguibili della disortografia possono essere:

  • le omissioni di lettere o parti di parola, per esempio fole per folle
  • sostituzioni o inversioni di grafemi
  • errori relativi alle regole ortografiche
  • errori di separazione o fusione di parole

La grammatica è importante nella produzione di un testo fluente. Gli studenti con disortografia spesso presentano evidenti problemi nella gestione delle regole grammaticali al punto da rendere difficile la comprensione di quanto scritto.
 Molti disortografici, inoltre, dimostrano estrema lentezza nella scrittura ed evidenti problemi nel copiato e in tutti i compiti scritti. Tutto questo, ha come esito il rimanere indietro nell’apprendimento rispetto ai compagni di classe.

Solitamente, questi problemi insorgono durante la seconda elementare e si protraggono nel tempo. Il più delle volte passano inosservati e confusi con i normali problemi riscontrati durante l’apprendimento, ma se perdurano nel tempo e si intensificano sono indicatori di un estremo disagio a carico della scrittura.

La diagnosi di disortografia viene fatta per quei bambini che presentano una scrittura lenta o eccessivamente scorretta, che però non è imputabile a una scarsa velocità del gesto motorio, sempre tenendo presente che l’errore non va considerato in merito a fattori esterni, ambientali o psicologici, che, se presenti, possono essere un fattore accentuante.

La Consensus Conference prescrive di valutare componenti diverse in base alle fasi evolutive: all’inizio dell’alfabetizzazione è necessario valutare i processi di conversione fonema-grafema, mentre durante la scuola primaria le parole intere fino alla presenza di errori di conversione grafema-fonema. Questi in particolare, se riscontrati alla fine della scuola primaria, rappresentano un elemento diagnostico di gravità del disturbo.

La disortografia, porta a un evidente dispendio di energie nei compiti scritti, affaticando lo studente che appare al cospetto degli altri svogliato o disattento.

È frequente l’associazione con altre problematiche relative alla sfera dell’apprendimento come la dislessia o la discalculia.

I bambini con disortografia possono mostrare disagio psicologico di fronte ai compagni di classe. Le conseguenze da un punto di vista psicologico, si mettono in atto forme di evitamento. Possono esitare nel fare domande in classe o ad ammettere che non hanno capito qualcosa.

Attualmente gli interventi che si sono dimostrati efficaci nel migliorare l’apprendimento dell’ortografia, condotti durante la scuola d’infanzia o il primo anno di scuola primaria, da insegnanti opportunamente preparati, presentano le seguenti caratteristiche:

  • Attività per favorire le abilita meta-fonologiche, come la segmentazione fonetica, che interviene nel passaggio dalla parola orale a quella scritta, e l’associazione tra grafemi e fonemi
  • Esplicitazione delle abilità da insegnare
  • Sessioni di circa 15-30 minuti l’una, con una frequenza non inferiore a due volte alla settimana, individuali o in piccoli gruppi, per un totale di 1-2 mesi

Accanto a trattamenti di tipo RIABILITATIVO, è consigliato l’uso degli strumenti compensativi in presenza di un carico di lavoro che limita fortemente l’autonomia, come nelle verifiche che richiedono molta lettura e scrittura, e solo se tale utilizzo non venga percepito come stigma dall’utente. Esistono differenti strumenti, da quelli ad alta tecnologia (correttore ortografico, riconoscimento vocale) a quelli a bassa tecnologia (dizionario) (Lo Presti e Franceschi, 2013).

Riguardo invece alle misure dispensative esse sono suggerite quando le misure compensative non sono di per sé sufficienti a garantire una sufficiente autonomia, in tal caso si preferisce sostituire le verifiche scritte con quelle orali e la valutazione del contenuto alla correttezza ortografica nelle produzioni scritte

 

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L'aggressività

L'aggressività è una caratteristica della personalità di ognuno che può predisporre a comportarsi male con gli altri, danneggiandoli.

Ecco come si fa a controllarla o a difendersi da chi si pone in modo aggressivo.

CHE COS'È L'AGGRESSIVITÀ?

 L'aggressività può essere definita come una caratteristica della personalità che predispone ad attaccare o danneggiare gli altri. Come molte caratteristiche di personalità, è influenzata da fattori biologici, psicologici e sociali, e si esprime in misura maggiore o minore in ciascuno di noi, in diversi contesti.

Esistono diversi tipi di aggressività: può essere reattiva a una condizione di frustrazione, se ad esempio mi sento provocato da qualcuno, o proattiva, se agisco aggressivamente per raggiungere uno scopo, ad esempio per sottomettere l'altro. Può essere impulsiva, quando è espressa in comportamenti non pianificati, non provocati o sproporzionati rispetto alla provocazione; quest'ultima forma è tipica di persone abitualmente irritabili.

A CHE COSA SERVE ESSERE AGGRESSIVI?

L'aggressività ha un importante valore evoluzionistico: può diventare uno strumento di difesa quando attaccati o in pericolo, può accompagnare e sostenere una sana competizione agonistica sportiva o anche nella vita di tutti i giorni. Ma può anche essere fonte di sofferenza per la persona che non riesce a controllarla, e causa di dolore fisico e psicologico in chi la subisce.

CHE RAPPORTO C'È TRA RABBIA E AGGRESSIVITÀ?

C'è chi esprime l'aggressività prevalentemente su un piano fisico o verbale, ferendo, danneggiando o insultando l'altro. In altre persone viene vissuta soprattutto sul piano emotivo, sotto forma di rabbia intensa. Altri ancora si concentrano su pensieri ostili, rivolti a chi è considerato la causa del sentimento di rabbia.

Spesso, ma non sempre, provare un'emozione di rabbia predispone a comportarsi in modo aggressivo.

COME SI FA A GESTIRE BENE L'AGGRESSIVITÀ?

Saper gestire la rabbia, e i pensieri che l'accompagnano, è fondamentale perché, in questo modo, si riesce a usare l'aggressività per raggiungere obiettivi utili.
Chi è incapace di gestire la propria aggressività può mettere in atto comportamenti che causano danni sia a se stesso, sia a chi la subisce.

Un modo per gestire l'aggressività è assumere un atteggiamento assertivo, che costituisce un buon compromesso fra la necessità di difendersi o di rispondere a una provocazione e quella di non farlo in un modo che crei gravi danni, a se stessi e all'altra persona, con conseguenze spiacevoli per tutti.

Un altro modo è saper attendere che uno stato emotivo di rabbia si calmi, prima di agire, o favorirne lo spegnimento con tecniche utili ad abbassare lo stato di attivazione fisica che lo accompagna.
Esistono diverse tecniche di rilassamento che possono essere utilizzate per sgonfiare l'intensità di uno stato emotivo, spesso basate sulla respirazione e il rilassamento muscolare, o anche approcci terapeutici più complessi come la mindfulness

L'empatia, cioè la naturale capacità di sentire lo stato mentale di un'altra persona, è un altro meccanismo di modulazione della rabbia. L'empatia consente infatti d'immedesimarsi nell'altro e di provare o immaginare qualcosa di simile a ciò che l'altro proverebbe se venisse ferito o attaccato.

 

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La displasia dell'anca può essere diagnostica precocemente, sin dai primi mesi di vita del neonato, con apposita ECOGRAFIA. Questa diagnosi preventiva consente di intervenire tempestivamente per correggere la problematica.

La terapia può variare a seconda dell'entità di displasia presentata. Nei casi di lieve-media entità,o diagnosticati nei primi mesi,  si ricorre al divaricatore mentre nei casi più gravi potrebbe essere necessario un intervento chirurgico.

SCREENING ECOGRAFICO E OBIETTIVO ALLE ANCHE

Anche in stato di pandemia da COVID-19 rimane OBBLIGATORIO per tutti i neonati entro il 3° mese di vita, eseguire una ecografia alle anche:

La displasia evolutiva dell’anca, se non correttamente trattata o non individuata, può condurre a:

  • disturbi della deambulazione
  • ipotrofia muscolare
  • aumento del tasso di incidenza di lesioni degenerative a carico dell’anca e del ginocchio.

Ecco perché è fondamentale effettuare una diagnosi preventiva in epoca neonatale, in modo da poter intervenire prontamente.

La dott.ssa Biancamaria Ricci http://www.poliambulatorioes.it/492/dottssa-ricci-biancamaria effettua presso il nostro Istituto questo screening ecografico con correlata visita pediatrica.

+ Il tuo bambino da noi è protetto oltre che curato. I nostri pediatri rispettano le indicazioni di sicurezza pensate dal Ministero per il Covid-19

+ Abbiamo creato uno spazio esclusivo in sala d’attesa nella nostra area relax, con un salottino dedicato alle mamme e punti di lettura e disegno per i bimbi.

 

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COS’È L’ICTUS O STROKE?

In latino, ictus significa “colpo”. L’ictus - stroke in inglese - è un evento cerebrovascolare che capita d’improvviso, anche in pieno benessere, in modo inatteso.

Si verifica, nell’80% dei casi, quando un’arteria cerebrale si chiude improvvisamente, determinando un’ischemia, cioè la brusca interruzione dell’apporto di sangue a una regione dell’encefalo. Solo nel 20% dei casi si verifica invece un’emorragia cerebrale per rottura di arteria.

Le malattie cerebrovascolari rappresentano la terza causa di morte in Italia: l’evenienza di una grave disabilità residua altera irrimediabilmente la qualità della vita sia delle persone colpite che delle famiglie dei pazienti, in quanto ne determina una più o meno reversibile compromissione dell’autosufficienza.

La perdita di una funzione neurologica è la prima causa di invalidità permanente in Italia come nel mondo.

QUALI SONO LE CONSEGUENZE DELL’ICTUS?

L’effetto della lesione cerebrale è molto variabile e dipende dall’area colpita, perché il nostro cervello ha zone diverse che assolvono compiti diversi. Alcuni ictus non sembrano nemmeno creare grossi danni, altre lesioni, anche piccole, colpiscono invece aree molto delicate il cui compito non può essere svolto da altre parti encefaliche.

L’ictus è la 3° causa di morte dopo le patologie cardiovascolari e neoplastiche e la principale causa di invalidità permanente o disabilità nei paesi industrializzati. La mortalità nei primi 30 giorni è del 20%, nel primo anno arriva al 30%. Un anno dopo un ictus cerebrale, un terzo dei soggetti sopravvissuti presenta una totale dipendenza.

 

QUALI SONO I SINTOMI DELL’ICTUS?

I sintomi più comuni che devono mettere in allerta sono:

  • difficoltà nel parlare correttamente
  • alterazione della vista, in particolare la perdita di una fetta del campo visivo
  • deviazione della bocca
  • deficit di forza o di sensibilità da un lato del corpo
  • alterazione dell’equilibrio

 

COSA FARE IN CASO DI ICTUS O DI SOSPETTO DI ICTUS?

Fino a qualche anno fa non era disponibile alcun tipo di cura per l’ictus ischemico acuto e l’unica possibilità di intervento era rappresentata da una valida prevenzione.  

Oggi abbiamo la possibilità di intervenire, ma solo nelle primissime ore dall’esordio dei sintomi, con trattamenti specifici come la trombolisi o il trattamento endovascolare di rimozione del trombo, nel caso di ictus ischemici.

Per questo è fondamentale che il paziente che si accorge di avere un sintomo suggestivo di ictus o i presenti, si attivino subito per condurre il paziente in pronto soccorso.

 

QUALI CURE NEL PRONTO INTERVENTO?

Da tempo è stato approvato in Italia l’utilizzo di un farmaco, Alteplase, che può sciogliere il coagulo e quindi riaprire l’arteria che si è chiusa.

Il trattamento è estremamente efficace soltanto se si riesce ad intervenire entro le 4 ore e mezzo dall'insorgenza dei sintomi e i benefici sono quindi tempo-dipendenti, ovvero maggiori quanto più precoce è il trattamento.

In alcuni casi selezionati alla somministrazione di Alteplase può far seguito un intervento di rivascolarizzazione intra-arterioso per una miglior risoluzione del quadro clinico.

L’operazione è effettuata in Centri qualificati: il personale specializzato è in grado di identificare i casi nei quali questa opzione terapeutica può essere utile e di assistere il paziente nella fase pre e post-intervento.

La gestione del paziente colpito da ictus prevede la messa in atto di competenze multidisciplinari, che si esplicano dall’arrivo in Pronto Soccorso all’esecuzione degli esami necessari per effettuare la diagnosi, alla pianificazione ed attuazione della terapia.

 

PROGRAMMI DI PREVENZIONE DELL'ICTUS

La prevenzione è indispensabile per ridurre significativamente il rischio di ictus, ma è altresì fondamentale per ottimizzare i risultati delle opzioni terapeutiche.

Per le patologie cerebrovascolari è disponibile un’ampia scelta di prestazioni ambulatoriali e strumentali, che vedono coinvolti operatori esperti e dedicati.

 

PRESSO ES ISTITUTO MEDICINA INTEGRATA POTRAI TROVARE:

Dott. BOERIS Davide - http://www.poliambulatorioes.it/470/dott-boeris-davide

Dott. IMPERIALE Daniele - http://www.poliambulatorioes.it/551/dott-imperiale-daniele

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I comportamenti aggressivi nei bambini compaiono di solito tra 1 e 2 anni, ma continuano, talvolta, fino all’età prescolare e anche oltre.

Morsi, capelli tirati, colpi inferti ai coetanei ed anche ai genitori…

Quali sono le ragioni alla base dell’aggressività infantile?

Bisogna sottolineare che i comportamenti aggressivi, nei bambini, non sono mai gratuiti o immotivati, anzi, le loro origini possono essere complesse, e diverse.

Quando un bambino agisce in maniera aggressiva, o persino violenta, vuol dire che c’è qualcosa, nel profondo, che non può o non sa esprimere.

È fondamentale, quindi, che l’adulto osservi il piccolo e l’ambiente per cercare di comprendere quali siano le cause del disagio che sta dietro a quelle manifestazioni, suggerendo poi al bambino strategie di espressione più adeguate.

La corteccia prefrontale nell'età evolutiva è ancora immatura, quest'area del cervello  regola le emozioni e controlla il comportamento.

Quindi quando siè piccoli è difficile controllare i propri impulsi ed esprimere e regolare le proprie emozioni. 

Quindi quando il bambino vive uno stato emotivo particolarmente intenso sfoga la frustrazione in modo "fisico" perchè non sa gestirla.

Ma ci sono anche altre cause possibili come:

  • la stimolazione sensoriale eccessiva
  • il dolore da dentizione 
  • i tentativi di esplorazione sensoriale (spesso all’origine dei morsi)
  • l’autodifesa e il desiderio di comprendere i meccanismi di causa-effetto

Al di là delle cause, è importante comprendere che quando un bambino è aggressivo ci sta segnalando che qualcosa è fuori del suo controllo e che ha bisogno di aiuto per ritrovare l’equilibrio. 

Mantenere la calma è la risposta migliore, perché si consentirà anche al bambino di tranquillizzarsi più rapidamente. 

 

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Come capire se si è incinta? Quali sono i primi sintomi di gravidanza, quando si presentano e come fare per riconoscerli?

Inizialmente la gravidanza può passare inosservata, oppure manifestarsi con lievi sintomi. Alcuni di essi possono presentarsi sin dai primi giorni dopo il concepimento, ma non tutte le donne riescono ad accorgersene.

Spesso i primi indizi emergono anche dopo molti giorni, perchè possono essere simili a quelli premestruali e non è facile interpretarli nel modo giusto. Spesso, inoltre, variano da donna a donna o anche in gravidanze diverse da donna a donna.
Insomma, si tratta di fattori molto soggettivi e per cui non esiste una regola valida per tutte, qindi il miglior consiglio in questi casi è quello di rivolgersi al proprio ginecologo di fiducia.

Tuttavia, ci sono alcuni segnali che normalmente individuano la presenza di una gravidanza.

I primi sintomi più comuni della gravidanza sono:

  • Stanchezza: spesso nei primi giorni si avverte un’insolita stanchezza e affaticamento nello svolgimento delle azioni quotidiane ( fare la spesa, una passeggiata ecc). Questo tipo di stanchezza non passa neanche con una buona dormita ed è spesso associata a una maggiore irritabilità, accompagnata da sbalzi d’umore. Sono sintomi causati dal cambiamento ormonale e sono del tutto normali.

  • Nausea: è un sintomo tipico nella prima fase di gravidanza, specie nei primissimi giorni. Emerge spesso con fastidio nei confronti di odori che prima magari non erano percepiti.

  • Perdite da impianto: questo sintomo permette di capire se si è all’inizio di una gravidanza. Le perdite da impianto sono diverse da quelle mestruali, con un colore più scuro. Tuttavia, possono essere confuse con l’arrivo delle mestruazioni perché possono essere accompagnate da dolori addominali. In questi casi è importante monitorare il ciclo mestruale ed eventuali cambiamenti nelle perdite che lo precedono.

  •  Sintomi urinari e stitichezza: un sintomo tipico iniziale di gravidanza è l’aumento dello stimolo a urinare unito a una maggiore stitichezza, causata dallo sbalzo ormonale che influisce sul tratto gastrointestinale.

  •  Sensibilità al seno:  sin dai primissimi giorni di gravidanza è percepibile un maggior formicolio o anche dolore. Il seno assume poi un gonfiore maggiore col passare delle settimane, i capezzoli diventano più sensibili e l’areola intorno più scura.

Se avvertite questi sintomi e si avete un ritardo nel ciclo mestruale, fate il test di gravidanza - possibilmente di prima mattina - e rivolgetevi a un ginecologo.

 

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La sindrome del colon irritabile è un disturbo funzionale con sintomi che non dipendono da alterazioni patologiche dell'organo. I sintomi che si presentano sono DOLORE o TENSIONE ADDOMINALE, alterazione di evacuazione con diarrea o stipsi.

Le cause che portano a questo disturbo possono essere di tipo psicologiche, infatti nell'intestino è presente una sorta di "cervello addominale" che comunica con il cervello. Quindi potrebbe esser utile ristabilire l'equilibrio psico-fisico del paziente.

Altri fattori possonoessere biologici come la sensibilità di visceri, la flora batterica e l'infiammazione di coliti o infezioni intestinali. Per la diagnosi è necessario eseguire altri esami approfonditi come la colonoscopia.

Cosa accade quando l’adolescente, messo di fronte alla possibilità di non sapere e di non poter controllare il proprio futuro, deve anche fare i conti con difficoltà scolastiche più o meno marcate che diventano parte di questa nuova identità ancora indefinita quanto necessaria?

La dislessia è parte della persona e il modo in cui la società contemporanea la considera ha una grande influenza su una persona dislessica.

La diagnosi di dislessia può fornire una forma di identità, determinata dalla sua costruzione sociale.

Se è vero che la scuola rappresenta uno degli ambiti di vita più importanti per gli studenti, lo è forse a maggior ragione per gli adolescenti.

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La scuola secondaria di secondo grado costituisce un palcoscenico sul quale si richiede agli allievi di mettere in gioco non solo abilità e prestazioni, ma anche la propria personalità

Rispetto ai compiti evolutivi dell’adolescente, già chiamato ad attivarsi nella costruzione di una nuova immagine di sé mentale e corporeo, la scuola influisce sulla ridefinizione dell’identità di studente.

I contenuti disciplinari sono ora oggetto di operazioni mentali complesse (processi di astrazione, ragionamento deduttivo, problematizzazione…) diventando pertanto occasione di rielaborazione personale delle conoscenze.

Lo studente è spinto a dire la sua, ad esporsi nel proporre il suo personale punto di vista, a porre quesiti e fare ipotesi, a confrontarsi con compagni e docenti. Le richieste della scuola spingono inevitabilmente lo studente a considerare obiettivi a lungo termine legati a scelte personali e professionali: la scuola superiore diventa luogo di aspettative per il futuro, costituisce un ponte che sollecita il passaggio dalla famiglia alla società.

Cosa farò da grande?

Per cosa sono portato?

Cosa so fare?

Andrò all’università?

Che lavoro mi piacerebbe fare?

Tra quali alternative posso scegliere?

Posso davvero scegliere chi diventare?

Incognite che possono mettere in crisi, paradossalmente, quello stesso percorso di costruzione identitaria che la scuola cerca di sostenere, alimentare ed arricchire.

DSA: se la diagnosi arriva in adolescenza

Restringiamo ora questa riflessione su di un fenomeno in crescita negli ultimi anni, rappresentato dalla richiesta di valutazioni per una prima diagnosi di DSA durante la fase adolescenziale.

Chiediamoci cosa accade quando l’adolescente, messo di fronte alla possibilità di non sapere e di non poter controllare il proprio futuro, deve anche fare i conti con difficoltà scolastiche più o meno marcate che diventano parte di questa nuova identità ancora indefinita quanto necessaria?

Cosa accade quando

[…] la confusione che la mente dell’adolescente genera per realizzare la propria personale rivoluzione viene ulteriormente alimentata da un’obiettiva difficoltà a leggere e interpretare i fenomeni del mondo, e in particolare gli stimoli provenienti dall’ambiente scolastico?

Diversi sono i clinici che negli ultimi tempi si occupano di comprendere i molteplici aspetti legati alla richiesta di un percorso valutativo per una possibile diagnosi di DSA alla scuola superiore.

È importante chiedersi quale significato tale richiesta possa avere come parte del processo identitario dell’adolescente, tenendo conto che spesso certe difficoltà scolastiche (molto probabilmente pregresse o, in certi casi, negate) vengano in qualche modo compensate negli anni della scuola primaria e secondaria di primo grado ma che oggi, di fronte a maggiori richieste didattiche ed evolutive vadano completamente disvelandosi

DSA: i numeri sulle diagnosi in Italia

Secondo i dati diffusi nell’aprile del 2018 dall’Ufficio Statistica e Studi del MIUR, nell’anno scolastico 2016/2017 le diagnosi di DSA nella scuola secondaria di II grado hanno raggiunto il 4% sul totale della popolazione studentesca frequentante.

In due anni, ovvero fra A.S. 2014/15 e A.S. 2016/17, la percentuale di studenti con certificazione DSA nella scuola secondaria di II grado è cresciuta del 1.5%. “Effetto di accumulo” dovuto a una più lunga permanenza nella scuola superiore?

Effetto della progressiva riduzione del fenomeno dell’abbandono scolastico rispetto al passato, senza dimenticare l’accresciuta capacità del personale docente di individuare correttamente i casi sospetti e avviarli all’iter di certificazione? (AID Italia).

Quali che siano i fattori che incidono più o meno sul fenomeno, è comunque significativo che il percorso psicodiagnostico per sospetto DSA alle superiori non soltanto è generalmente accettato di buon grado dai ragazzi, ma addirittura spesso sono loro stessi a richiederlo ai propri genitori. Non sempre l’iter valutativo conduce ad una diagnosi: molto spesso infatti ciò che viene rilevato ha a che fare con difficoltà aspecifiche, non inquadrabili all’interno di un disturbo. In ogni caso, la possibilità di dare un nome o di assegnare un’etichetta alle proprie fatiche potrebbe dare risposta a dubbi e domande sulle proprie capacità e sul proprio senso di autoefficacia.

L’adolescente vuole vederci chiaro e sapere chi veramente è provando a farsi largo nel caos delle sue contraddizioni. Confronta sé stesso, i propri limiti e le proprie risorse con i coetanei e con l’immagine di sé che essi gli rimandano.

La diagnosi d’altra parte spiegherebbe i motivi delle proprie difficoltà e aiuterebbe a percepirsi al pari degli altri coetanei.

Cosa vuol dire in questo caso essere dislessico?

Essere diverso o svantaggiato?

Oppure, paradossalmente, legittima questa diversità proteggendo la propria autostima? Il DSA colloca al di fuori di sé problemi e difficoltà, non chiama (apparentemente) in causa fatiche emotive e relazionali.

Mette d’accordo tutti: lo studente, la famiglia, la scuola.

I genitori sono spesso sollevati alla notizia che il/la figlio/a presenti un disturbo o una difficoltà dell’apprendimento, poiché rende meno difficile il confronto con le attuali problematiche che chiamano in causa le ansie e le preoccupazioni relative alla realizzazione e al successo dei figli.

I professori dal canto loro possono sentirsi confortati dalla possibilità di ricorrere a modalità didattiche e valutative in grado di raggiungere anche quegli studenti più “difficili” e superare il senso di frustrazione derivante dalla preoccupazione di non saperli aiutare.

Sembra proprio che l’adolescenza dei figli costringa in una certa misura anche i genitori a fare i conti con il riconoscimento dei propri limiti, con l’elaborazione del fallimento generato da conflitti e tensioni e con l’accettazione della perdita di quel bambino che [il proprio figlio] non potrà più essere

I docenti a loro volta sono chiamati a confrontarsi quotidianamente con ragazzi e ragazze alla ricerca di un modello di riferimento che al contempo non li metta in discussione nella loro spinta verso il diventare grandi.

Del resto, i cosiddetti strumenti compensativi e le misure dispensative, se non vengono usati difensivamente come scorciatoie, possono diventare occasione per trovare modi sempre nuovi di conoscere il mondo e sé stessi.

Genitori e docenti affrontano la sfida di provare a porsi come adulti autorevoli non giudicanti, svolgendo una duplice funzione: di presenza e di confronto. Nel tentativo di supportare il delicato e complesso passaggio di crescita che l’adolescente, a prescindere dalla presenza di difficoltà o disturbi, è comunque chiamato a percorrere. Non è la diagnosi a definire l’identità dell’adolescente: esperienze e relazioni significative possono fare la differenza.

 

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Il Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (World Cancer Research Fund) ha concluso nel 2007 uno studio scientifico sul rapporto tra alimentazione e tumori a cui hanno collaborato oltre 150 ricercatori, epidemiologi e biologi provenienti dai centri di ricerca più prestigiosi del mondo.

Ne è nato il decalogo che segue, che viene regolarmente aggiornato:

  1. Mantenersi snelli per tutta la vita. Per conoscere se il proprio peso è in un intervallo accettabile è utile calcolare l'indice di massa corporea (BMI = peso in Kg diviso per l'altezza in metri elevata al quadrato: ad esempio una persona che pesa 70 kg ed è alta 1,74 ha un BMI = 70 / (1,74 x 1,74) = 23,1.), che dovrebbe rimanere verso il basso dell'intervallo considerato normale (fra 18,5 e 24,9 secondo l'Organizzazione mondiale della sanità).
  1. Mantenersi fisicamente attivi tutti i giorni. E’ sufficiente un impegno fisico pari a una camminata veloce per almeno mezz'ora al giorno; man mano sarà utile prolungare l'esercizio fisico fino ad un'ora o praticare uno sport o un lavoro più impegnativo. L'uso dell'auto per gli spostamenti e il tempo passato a guardare la televisione sono i principali fattori che favoriscono la sedentarietà nelle popolazioni urbane.
  2. Limitare il consumo di alimenti ad alta densità calorica ed evitare il consumo di bevande zuccherate. Sono generalmente ad alta densità calorica i cibi raffinati, precotti e preconfezionati, che contengono elevate quantità di zucchero e grassi, ed anche i cibi serviti nei fast food. Occasionalmente si può mangiare un cibo molto grasso o zuccherato, ma mai quotidianamente. L'uso di bevande gassate e zuccherate è da evitare, anche perché forniscono abbondanti calorie senza aumentare il senso di sazietà.
  3. Basare la propria alimentazione prevalentemente su cibi di provenienza vegetale, con cereali non raffinati e legumi in ogni pasto e un'ampia varietà di verdure non amidacee e di frutta. Sommando verdure e frutta sono raccomandate almeno cinque porzioni al giorno (per circa 600g). Fra le verdure non devono essere contate le patate.
  4. Limitare il consumo di carni rosse ed evitare il consumo di carni conservate. Le carni rosse comprendono le carni ovine, suine e bovine, compreso il vitello. Non sono raccomandate, ma per chi è abituato a mangiarne si raccomanda di non superare i 500 grammi alla settimana. Limitate le carni rosse ed evitare le carni conservate (carni in scatola, salumi, prosciutti, wurstel).
  5. Limitare il consumo di bevande alcoliche. Non sono raccomandate, ma per chi ne consuma si raccomanda di limitarsi ad un bicchiere di vino al giorno per le donne e due per gli uomini, solamente durante i pasti. La quantità di alcol contenuta in un bicchiere di vino è circa pari a quella contenuta in una lattina di birra e in un bicchierino di un distillato o di un liquore.
  6. Limitare il consumo di sale (non più di 5 g al giorno) e di cibi conservati sotto sale. Evitare cibi contaminati da muffe (in particolare cereali e legumi). Assicurarsi del buon stato di conservazione dei cereali e dei legumi che si acquistano, ed evitare di conservarli in ambienti caldi ed umidi.
  7. Assicurarsi un apporto sufficiente di tutti i nutrienti essenziali attraverso il cibo. Di qui l'importanza della varietà. L'assunzione di supplementi alimentari (vitamine o minerali) per la prevenzione del cancro è invece sconsigliata.
  8. Allattare i bambini al seno per almeno sei mesi
  9. Nei limiti dei pochi studi disponibili sulla prevenzione delle recidive, le raccomandazioni per la prevenzione alimentare del cancro valgono anche per chi si è già ammalato.

Le abitudini voluttuarie

Il primo nemico da combattere in questo ambito è senza dubbio il fumo. Oltre al cancro polmonare, si riduce infatti anche l'incidenza del cancro della bocca, della vescica (quest'ultima è infatti esposta alle sostanze tossiche eliminate attraverso le urine) e dello stomaco, ma anche tante malattie respiratorie, (asma e broncopneumopatie dell'età avanzata).

L'uso di droghe o di sostanze illecite durante la pratica sportiva è un'abitudine nociva, che interferisce con gli equilibri dell'organismo ma anche, per esempio per quanto riguarda alcune sostanze anabolizzanti, alterando i livelli di ormonali nel sangue.

La tintarella: esporsi al sole senza adeguate protezioni

Il sesso: molte forme tumorali hanno un'origine infettiva. Il consiglio, quindi, è di essere sempre informati sulle modalità di trasmissione e di protezione.

 

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Prevenire come stile di vita.

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Ogni anno si ammalano di melanoma circa 6000 italiani.

La prevenzione di questo tumore particolarmente aggressivo è fondamentale ed è legata alle buone abitudini sotto il sole.

Estate, tempo di sole, di mare e di lunghe passeggiate. Ma soprattutto di sole, una fonte preziosa di vitamina D che però può esporre ad alcuni rischi se non ci si protegge adeguatamente.

Il più pericoloso è il melanoma, un tumore maligno particolarmente aggressivo della cute e delle mucose che origina da alcune cellule, i melanociti, e che colpisce in Italia ogni anno in media 3.000 uomini e 2.800 donne, con un’incidenza raddoppiata negli ultimi 10 anni.

SICUREZZA SOTTO IL SOLE

Ecco quindi alcuni accorgimenti e precauzioni da adottare per esporsi al sole in sicurezza:


1. Esporsi gradualmente al sole. I melanociti, stimolati dai raggi UV, sintetizzano gradualmente la melanina, il pigmento che dona l’abbronzatura e che ha il compito di proteggerci dai raggi UV.
2. Conoscere il proprio fototipo, così da potersi regolare riguardo ai tempi e ai modi di esposizione.
3. Applicare un fotoprotettore adeguato, soprattutto se si ha la pelle chiara, utilizzando principalmente all’inizio una crema ad alto fattore di protezione (tra 50 e 30) che blocchi sia i raggi UVB che UVA. L’applicazione è da ripetere in caso di esposizione prolungata e di frequenti bagni in acqua.
4. Evitare l’esposizione solare tra le ore 11 e le 16. È durante queste ore che i raggi solari sono più dannosi. Anche al riparo sotto l’ombrellone l’intensità della radiazione ultravioletta può essere il 50% di quella della luce diretta, mentre la sabbia intensifica l’intensità del 25% (la neve il 100%). Inoltre, nei giorni foschi e nuvolosi i raggi solari raggiungono lo stesso la nostra pelle, quindi è necessario utilizzare comunque una protezione solare.
5. Evitare di esporsi al sole con il viso truccato o dopo aver applicato sulla pelle profumi e/o deodoranti.
6. Attenzione ai farmaci. Alcuni di essi, sia assunti per via orale che applicati localmente, sono fotosensibilizzanti, e possono causare delle reazioni in concomitanza con l’esposizione solare. Le manifestazioni cliniche di queste reazioni sono varie e simili a quelle di una intensa scottatura solare (comparsa di eritemi, edemi, papule, reazioni orticarioidi), solitamente limitata alle aree del corpo maggiormente esposte (l’apice delle orecchie, il naso, le guance, la nuca, gli avambracci e il dorso delle mani), ma in alcuni casi la reazione si può estendere a tutto il corpo. Tra i farmaci che possono causare effetti di fotosensibilizzazione troviamo alcuni antinfiammatori, contraccettivi, antibiotici, antimicotici, antiaritmici e diuretici.

La protezione solare rimane il metodo di prevenzione più efficace

Per garantire un livello di protezione elevata, i prodotti solari devono essere sufficientemente efficaci sia contro i raggi UVA che contro i raggi UVB.

Per proteggere adeguatamente la pelle dal sole, l’applicazione del filtro solare deve diventare parte integrante della routine quotidiana. È necessario poi verificare che i prodotti garantiscano una copertura ad ampio spettro, in grado di proteggere la pelle dagli effetti sia dei raggi UVA che degli UVB.
Le persone con la pelle chiara, i capelli rossi o biondi e gli occhi chiari, (fototipo I e II), oppure coloro che sono esposti per lunghi periodi (per lavoro o hobby) al sole senza un’adeguata fotoprotezione sono i più esposti al rischio di melanoma. Più il fototipo è basso (fototipo III, ma soprattutto fototipi I e II) più il fotoprotettore da utilizzare deve essere elevato, tenendo presente che il fototipo I è il più vulnerabile e avrà bisogno di protezioni altissime, che potranno essere via via più basse andando verso il fototipo VI

Attenzione alle lampade

Se non avete la possibilità di andare in spiaggia ma puntate ad avere una tintarella invidiabile anche in città, fate attenzione: secondo gli ultimi dati dell’OMS, l’abbronzatura artificiale delle lampade abbronzanti aumenta del 20% il rischio di melanoma, e questo rischio sale al 59% se il primo utilizzo è sotto ai 35 anni. Secondo un rapporto della stessa OMS i lettini solari sono responsabili di oltre 450mila casi di tumore della pelle e più di 10mila casi di melanoma ogni anno in Usa, Europa e Australia insieme. Questi sistemi abbronzanti artificiali presentano un rischio specifico per la pelle indipendentemente dalla tipologia di pelle e dall’esposizione solare.

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IL DOTT. TITLI STEFANO, dermatologo effettua indagini col dermoscopio in epiluminescenza utile nell’identificazione diagnostica precoce delle patologie oncologiche.

 

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Le alte temperature affaticano il sistema venoso, per questo motivo in estate più persone tendono a sentire le gambe pesanti e gonfie.

Gambe stanche e pesanti, caviglie gonfie e vene in evidenza sono sintomi tipici del periodo estivo, perché l’aumento delle temperature tende a far dilatare i vasi sanguigni e a rendere più difficoltoso il ritorno venoso al cuore.

Molto spesso questa condizione è associata ad una predisposizione familiare, quindi se i vostri genitori o nonni ne hanno sofferto, sarà più probabile che ne soffriate anche voi.

I dati statistici dimostrano che le donne sono più soggette degli uomini (in un rapporto di quasi 3:1) e che con l’alzarsi dell’età le probabilità aumentano notevolmente.

I principali sintomi per capire se si soffre di insufficienza venosa:

A parte la sensazione di gambe pesanti ci sono altri segni che ci possono far capire che soffriamo di una problematica venosa:

  • Piedi, caviglie o gambe gonfie
  • Presenza più o meno sporgente delle vene (vene reticolari o varicose)
  • Modifiche del colore o spessore della pelle (macchie ocra e dermatiti)
  • Lesioni della pelle (ulcere a livello dei malleoli o poco sopra)

A seconda della presenza e della tipologia di questi segni, uno specialista vi saprà dire se avete o meno un insufficienza venosa cronica, il livello di gravità e ciò che si può fare per migliorare la situazione.

A chi rivolgersi e quali terapie fare se avete il dubbio di avere un’insufficienza venosa

Se pensate o avete il dubbio di soffrire di questa problematica, il primo passo da fare è consultare un ANGIOLOGO.

Il medico vi potrà fare un accurata visita e prescrivervi altri esami di accertamento per valutare la presenza o meno di alterazioni circolatorie.

L’esame più comune in questi casi è l’ecocolordoppler.

In molti casi, se è stata accertata la presenza di insufficienza, viene prescritto l’utilizzo delle calze elastocompressive oppure l’esecuzione di terapie come la pressoterapia e il linfodrenaggio manuale.

Come ridurre i sintomi

Ecco qualche consiglio per migliorare la salute delle nostre gambe e ridurre i sintomi:

  • Alzare le gambe (soprattutto se oltre il livello del cuore) per 30 minuti 2 o 3 volte al giorno
  • Camminare per almeno 10 minuti di seguito più volte al giorno o muovere le caviglie su e giù per alcuni minuti. (Meglio ancora se si fa attività fisica abitualmente)
  • Utilizzare le calze compressive, soprattutto se vi sono state già consigliate dal medico
  • Evitare di rimanere fermi in piedi o seduti per troppe ore

Tutti questi semplici consigli possono essere eseguiti in autonomia per dare sollievo ai vostri fastidi, ma è sempre bene rivolgersi ai professionisti per avere una valutazione tempestiva. Agendo per tempo tanti problemi possono essere evitati e la qualità della vostra vita ne gioverà a lungo temine.

La sensazione di pesantezza alle gambe, accompagnata da crampi o gonfiori, può anche essere una spia di una sottostante condizione patologica, per esempio una trombosi venosa profonda.
Sul sito del Ministero della Salute è disponibile una pagina dedicata alla trombosi venosa profonda che consente di approfondire  diagnosi, fattori di rischio, terapia e prevenzione.

Tra le altre cause delle gambe pesanti, si segnalano:

  • sovrappeso;
  • vizi di postura e la mancanza di attività fisica;
  • caldo;
  • alcuni farmaci;
  • sbalzi ormonali in alcune fasi della vita femminile (menopausa, gravidanza e i giorni precedenti al ciclo mestruale);
  • la pillola anticoncezionale;
  • dieta ricca di sale

Tutti questi fattori favoriscono la stasi circolatoria nelle gambe.

Se le valvole venose non hanno una buona tenuta, il sangue tende a ristagnare nelle gambe. Questo ristagno genera una condizione di gonfiore nota come edema alle gambe.

Altri sintomi della stasi venosa

Il disturbo delle gambe gonfie e pesanti si accompagna a una serie di altri sintomi che fanno da campanello d’allarme:

  • sensazione di muscoli indolenziti e gambe addormentate;
  • vene delle gambe che  visibili su tutto l’arto inferiore;
  • caviglie gonfie;
  • formicolio alle gambe, accompagnato da prurito.
Perché la pesantezza alle gambe colpisce di più le donne?

Le donne sono in genere più soggette al fastidio delle gambe pesanti a causa di diversi fattori, in gran parte ormonali, che favoriscono:

  • un rallentamento della circolazione 
  • un accumulo di sangue nella parte bassa del corpo

Un esempio?

Il gonfiore alle gambe in gravidanza può essere favorito anche da una maggiore pressione dell’utero sulla vena cava, che fatica a portare il sangue dalle gambe al cuore. Questo genera un rallentamento del ritorno venoso e una conseguente sensazione di gonfiore e pesantezza.

Ciò non toglie che anche l’uomo possa soffrire di pesantezza alle gambe, specie se passa molto tempo seduto o in piedi, è sedentario e ha un regime alimentare scorretto.

Gambe pesanti altre cause e “comportamenti aggravanti”

Oltre alla lunga permanenza seduti o in piedi, esistono anche cause più gravi che possono provocare la pesantezza delle gambe:

  • insufficienza cardiaca;
  • fibrosi e cirrosi epatica;
  • insufficienza renale;

Inoltre esistono alcuni fattori “aggravanti” come:

  • calore, umidità e consumo di alcool, che possono dilatare le vene e favorire un accumulo di sangue nelle gambe;
  • l’utilizzo di scarpe rigide o con tacchi alti, specie se prolungato, che può impedire alla pompa muscolare di funzionare correttamente.

Abbiamo visto che tra le cause della pesantezza delle gambe c’è anche il sovrappeso.

In effetti, un’alimentazione ricca di grassi affatica il cuore e non favorisce il ritorno del sangue venoso.

Anche chi viaggia tutti i giorni non è esente dalla sgradevole sensazione di pesantezza alle gambe: stare ore seduti in auto, aereo e treno costringe a posizioni scomode ed errate che limitano il flusso sanguigno e favoriscono gonfiori, specie ai piedi.

Come contrastare la sensazione di GAMBE PESANTI in modo naturale?

Questim integratori riducono la sensazione di PESANTEZZA ALLE GAMBE contribuendo a:

  • coadiuvare il drenaggio dei liquidi corporei (Ananas, Meliloto);
  • promuovere la funzionalità del microcircolo (Rusco, Centella. Mirtillo nero, Vite rossa, Ippocastano, Ananas, Cipresso e Meliloto);
  • favorire la funzionalità della circolazione venosa (Rusco, Amamelide, Meliloto, Achillea);
  • promuovere la formazione del collagene e aiutare a mantenere la normale funzione dei vasi sanguigni (Vitamina C)
  • proteggere le cellule dallo stress ossidativo, azione antiossidante (Amamelide, Vitamina C, Pino silvestre, Selenio e Vitamina E, Vite rossa, Mirtillo nero);
  • contrastare gli inestetismi della cellulite (Ananas, Centella)


Ritrova la leggerezza delle tue gambe con 5 semplici mosse

La sensazione di pesantezza alle gambe, in assenza di patologie, può essere efficacemente contrastata anche adottando semplici accorgimenti.

1) Un po' di movimento

Chi fa un lavoro sedentario e passa molto tempo seduto alla scrivania dovrebbe alzarsi ogni 30 minuti per sgranchire i muscoli.

Chi, invece, sta molto tempo in piedi dovrebbe contrarre e decontrarre alternativamente i polpacci. Un aiuto in più può inoltre arrivare da un po’ di regolare attività fisica nel tempo libero, specie passeggiate, bicicletta, ginnastica in acqua o nuoto

 

2) Bere tanta acqua

Per favorire la cicolazione è bene bere almeno 1,5 o 2 litri di acqua al giorno. In questo modo sarà possibile contrastare il gonfiore alle gambe che spesso è associato alla stasi venosa.

In alternativa è anche possibile optare per tisane naturali, preparate sciogliendo in acqua calda o fredda estratti di piante utili per favorire il microcircolo e alleviare la sensazione di pesantezza alle gambe, come per esempio centella o ananas.

3) Attenti all'alimentazione

Può anche essere d’aiuto inserire nell’alimentazione cibi ricchi di Vitamina C e bioflavonoidi (agrumi, kiwi, ananas, frutti rossi ecc.) per favorire l’elasticità delle vene e il benessere della circolazione.

Di contro sarebbe bene ridurre il consumo di sale o di cibi che ne contengono grandi quantità, per limitare la ritenzione idrica.

 

4) Acqua fredda e massaggi

Per alleviare i fastidi, quando si è sotto la doccia è possibile passare sulle gambe un getto di acqua fredda; meglio ancora sarebbe alternare acqua fredda ad acqua tiepida, facendo scorrere il getto dalle caviglie fino alle cosce.

Un ulteriore aiuto può arrivare da un auto massaggio alle gambe con creme apposite a base di estratti vegetali dall’azione tonica, utili per riattivare la circolazione.

 

POTASSIO per ritenzione idrica e gambe gonfie

Per contrastare il gonfiore alle gambe, è indispensabile anche un corretto apporto di potassio. Questo minerale, infatti, aiuta a mantenere la normale pressione sanguigna. Inoltre ha un ruolo fondamentale nel l’impedire che il sodio prevalga all’interno delle cellule.

Con un’eccessiva presenza di sodio, infatti, questa tenderà a gonfiarsi di acqua, trattenendola, e provocando fenomeni come:

  • ritenzione idrica
  • gambe gonfie
  • cellulite

 

Quale sport aiuta?

Come accennato per combattere la pesantezza alle gambe è molto utile fare un po’ di regolare movimento. Ma tutti gli sport e le attività si equivalgono? Non è proprio cosi, alcune attività  sono più indicate di altre.

Tra gli sport “buoni” sono incluse la camminata (ancor meglio se nell’acqua), la corsa (con scarpe idonee ad assorbire i microtraumi), il nuoto e la bicicletta.

Da prendere in considerazione sono anche lo sci di fondo, il golf e la danza.

Tra le attività meno indicate, che favoriscono il sovraccarico del sistema venoso, ci sono invece tennis, pallavolo, calcio, sollevamento pesi e canottaggio.

 

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Disturbi Evolutivi Specifici di Apprendimento che appartengono ai disturbi del neurosviluppo (DSM 5, 2014),

che riguarda i disturbi delle abilità scolastiche,

ossia Dislessia, Disortografia, Disgrafia e Discalculia (CC-2007).

Sulla base del deficit funzionale vengono comunemente distinte le seguenti condizioni cliniche:

  • Dislessia, cioè disturbo nella lettura (intesa come abilità di decodifica del testo)
  • Disortografia, cioè disturbo nella scrittura (intesa come abilità di codifica fonografica e competenza ortografica)
  • Disgrafia, cioè disturbo nella grafia (intesa come abilità grafo-motoria)
  • Discalculia, cioè disturbo nelle abilità di numero e di calcolo (intese come capacità di comprendere e operare con i numeri)
  • Disturbo specifico della compitazione, si manifesta attraverso una incapacità di pronunciare e scrivere correttamente le parole
  • Il Disturbo dell’apprendimento non verbale: un nuovo disturbo tra i DSA: un sottogruppo di bambini meno capaci nei domini non verbali che hanno difficoltà di adattamento e apprendimento

+ OGNUNO DI QUESTI DEFICIT E' SPIEGATO APPRONDITAMENTE IN ALTRE NOSTRE FAQ: cercalo! +

La Consensus Conference dell’Istituto Superiore di Sanità (Cc-ISS, 2011) definisce i Disturbi Specifici dell’Apprendimento “Disturbi che coinvolgono uno specifico dominio di abilità, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. Essi infatti interessano le competenze strumentali degli apprendimenti scolastici.”

E’ importante quindi sottolineare che i bambini con Disturbi Specifici dell’Apprendimento hanno un’intelligenza nella norma e/o superiore alla norma, essi riescono facilmente ad avere una visione d’insieme, a percepire un’immagine nel suo complesso.

Sono in grado di cogliere gli elementi fondamentali di un discorso o di una situazione, ragionando in modo dinamico e creando connessioni inusuali che altri difficilmente escono a sviluppare.

  • Apprendono facilmente dall’esperienza
  • ricordano i fatti non in modo astratto ma come esperienze di vita, racconti ed esempi.
  • Pensano soprattutto per immagini, visualizzando le parole e i concetti in modo tridimensionale, per questo memorizzano molto più facilmente per immagini.
  • Sono capaci di vedere le cose da diverse prospettive e processano le informazioni in modo globale invece che in sequenza.

Le principali caratteristiche che contraddistinguono i Disturbi Specifici dell’Apprendimento riguardano:

  • Le inattese e importanti diffcoltà nella letto-scrittura e/o nei numeri e nel calcolo
  • Le difficoltà nella consapevolezza fonologica (difficoltà nel riconoscere quanti, quali e in che ordine sono i suoni di una parola)
  • La lentezza nell’automatizzazione di diverse abilità

Alcuni bambini con Disturbi Specifici dell’Apprendimento possono anche avere

  • difficoltà di coordinazione, di motricità fine
  • nelle abilità di organizzazione e di sequenza
  • difficoltà nell’acquisizione delle sequenze temporali (ore, giorni, stagioni, ecc.).


Dall’analisi della letteratura i disturbi che più frequentemente si riscontrano in comorbilità con i Disturbi Specifici dell’Apprendimento sono:

  • il disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività (ADHD)
  • i Disturbi Specifici del Linguaggio (DSL).

 

L’importanza della diagnosi nei Disturbi Specifici dell’Apprendimento

Le ricerche hanno messo in luce che i Disturbi Specifici dell’Apprendimento si presentano associati a disturbi emotivi e comportamentali che, se sottovalutati, possono costituire un fattore di rischio per il futuro benessere psicologico dell’individuo.

La diagnosi di disturbo dell’apprendimento viene di solito eseguita solo al termine del secondo anno di scuola primaria, anno in cui tale disordine diventa più evidente grazie all’esposizione della letto-scrittura.

Solitamente sono le maestre, durante le attività scolastiche, ad avvertire le prime difficoltà e disagi nel bambino. E’ loro dovere quindi informare il genitore al più presto per fargli prendere contatto con lo specialista in grado di formulare una diagnosi: – solitamente il Neuropsichiatra Infantile o un’équipe multidisciplinare composta da Neuropsichiatra Infantile, Psicologo, Logopedista ed eventualmente altri professionisti sanitari abilitati alla certificazione – sulla base della quale il logopedista, psicomotricista ed eventualmente lo psicologo, opereranno da quel momento in poi. Ricordiamo :pedagogisti, tutor degli apprendimenti, counselor non possono fare diagnosi clinica.

Innanzitutto, un primo problema si può presentare quando ancora non c’è la diagnosi: in questo caso infatti sia il bambino che la famiglia e la scuola, si ritrovano nella confusione di un basso rendimento scolastico senza capirne il motivo.

I genitori sono confusi e all’inizio tendono a dare ragione all’insegnante e si associano all’idea che la difficoltà del loro bambino dipenda dallo scarso impegno o da un’insufficiente dose di esercizio.

In questa fase il bambino si sente incompreso sia in famiglia che a scuola e comincia a dubitare delle proprie capacità. Questo può provocare:

  • un abbassamento dell’autostima
  • disagio psicoaffettivo
  • un sentimento di inferiorità nonché senso di colpa

Le interpretazioni e le azioni degli adulti portano, in questi casi, ad un’aggravarsi della situazione.

Quando la diagnosi è stata effettuata, e se il disturbo non viene trattato adeguatamente, le manifestazioni psicologiche della sofferenza possono assumere varie forme, anche opposte tra loro:

  • da un lato il bambino può presentare un comportamento ritirato, chiuso in se stesso, di evitamento del confronto; questo complesso di reazioni si possono definire di tipo depressivo o inibitorio.
  • Nella modalità di reazione opposta si possono presentare sentimenti di rabbia che portano a comportamenti disturbanti, opposizione alle insegnanti e aggressività col personale scolastico e con i pari, cosa che può innescare un circolo vizioso all’interno della classe.

Il rischio è quello di restare intrappolati in circoli viziosi, in cui fallimenti, lo scarso investimento sulle attività scolastiche e la demotivazione vanno a potenziarsi vicendevolmente.

Considerando che è proprio durante i primi anni di scuola che i bambini si trovano ad affrontare il conflitto tra una positiva immagine di sé e i sentimenti di inferiorità , il modo in cui riusciranno a sviluppare sentimenti positivi che li porteranno a sentirsi efficaci avrà ripercussioni sulla loro vita.

Nel DSM-5 (APA, 2013) si sottolineano inoltre le possibili “conseguenze funzionali negative lungo l’arco di vita che includono:

  • alti livelli di di stress psicologico e inferiore salute mentale generale
  • l’abbandono scolastico
  • i co-occorrenti sintomi depressivi

aumentano il rischio di esiti negativi in termini di salute mentale generale

Al contrario alti livelli di supporto emotivo e sociale predicono migliori risultati a livello di salute mentale”.